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Bimbo nato malformato: ai genitori spetta il danno morale iure proprio
Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa del fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno non patrimoniale, concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire "iure proprio" contro il responsabile.Il casoLa Cassazione torna a pronunciarsi sulla possibilità, per i genitori di un bambino nato malformato a causa di errore commesso dal medico che ha eseguito il parto, di ottenere anche il risarcimento del danno morale iure proprio.Nello specifico, la richiesta di risarcimento danni è stata formulata da una coppia di coniugi nei confronti dei medici e dell’ostetrica che avevano seguito la donna prima e durante il parto, in conseguenza della nascita del bambino con malformazioni.Durante la gravidanza la futura madre era stata seguita da un medico il quale, tra la ventottesima e la trentesima settimana di gestazione non aveva fatto eseguire un’ecografia che avrebbe permesso di diagnosticare la distocia alla spalla (riconosciuta come una delle cause più frequenti della paralisi del plesso brachiale) e quindi, di predisporre le misure più adeguate ad evitare danni al neonato.Successivamente, il ginecologo che aveva eseguito il parto non si sarebbe avveduto della difficoltà delle spalle del nascituro ad uscire, senza così porre in essere le misure più idonee ad evitare danni al bambino, il quale riportava gravi lesioni permanenti.A fronte della richiesta dei genitori del bimbo nato malformato alla condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti dal minore e in proprio dagli stessi, il Tribunale aveva accolto solo la pretesa avanzata nell’interesse del minore nei confronti del medico che aveva provveduto al parto, condannandolo al risarcimento dei danni.La Corte d’Appello, a parziale modifica della sentenza di primo grado, condanna il ginecologo all’ulteriore pagamento ai genitori di una somma a titolo di danno morale iure proprio.Avverso tale decisione, propone ricorso per Cassazione il medico condannato, adducendo, tra gli altri motivi di censura, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., in relazione del riconoscimento a favore dei coniugi, del danno morale iure proprio subito a seguito delle lesioni riportate dal figlio. Invero, adduceva il ricorrente che la Corte d’Appello aveva provveduto a condannarlo al pagamento del danno morale senza spiegare i criteri utilizzati per la liquidazione; mentre, per giurisprudenza costante, il danno morale deve essere allegato e provato da colui che chiede il relativo risarcimento.La Cassazione, nel dichiarare infondato il motivo di ricorso, ha modo di chiarire come la giurisprudenza pacificamente ritiene che debba essere riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale anche ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa del fatto illecito costituente reato, lesioni personali; danno che deve essere concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima. A ciò non osta il disposto dell’art. 1223 c.c., posto che anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire “iure proprio” contro il responsabile.La Corte ha altresì modo di precisare come la liquidazione di tale danno debba avvenire in base ad un criterio equitativo, attraverso una valutazione complessiva del danno non patrimoniale, ricorrendo anche a presunzioni fondate su elementi oggettivi forniti dal danneggiato, che tengano conto delle lesioni riportate dal minore, con esiti di inabilità permanente di grave entità.Su tali basi, la Corte di legittimità ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello che riconosceva il danno non patrimoniale a favore dei genitori, essendo stata raggiunta in via presuntiva la prova dello stesso, in considerazione del rapporto affettivo esistente tra i genitori ed il figlio e della gravità delle lesione riportate da quest’ultimo.Nota esplicativaLa Cassazione torna a pronunciarsi in ordine ai danni risarcibili e all’individuazione dei soggetti legittimati a richiederli a seguito di un errore medico che ha causato la nascita di un bambino malformato.Appare pertanto opportuno – alla luce della sentenza in commento – ripercorrere le varie voci di danno risarcibili, nonché i soggetti legittimati a richiederlo.Invero, laddove il bimbo alla nascita presenti gravi patologie addebitabili ad errore medico, viene anzitutto in rilievo il diritto del nascituro a nascere e a nascere sano. A tale esito la giurisprudenza perviene affermando la sussistenza, in capo al nascituro, di un’autonoma soggettività giuridica, in quanto titolare di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, alla salute o integrità psico-fisica, all’onore o alla reputazione, la cui azionabilità in giudizio a fini risarcitori è subordinata alla condicio iuris della nascita.Tale affermazione trova conferma in numerose disposizioni normative che tutelano il concepito, tra cui la legge 40/2004 che, nell’indicare la finalità della procreazione medicalmente assistita prevede la tutela dei diritti di “tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito”; la legge 194/1978, art. 1 che prevede che lo Stato garantisca il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosca il valore sociale della maternità e tuteli la vita umana dal suo inizio; l’art. 254, co. 1 c.c. che prevede il riconoscimento del figlio naturale possa effettuarsi anche dopo il solo concepimento; l’art. 32 Cost. che garantisce il diritto alla salute all’”individuo”. Proprio con detto riferimento - all’individuo e non alla persona - si vuole implicitamente includere nella tutela non solo la persona nata, ma anche l’individuo in divenire quale è appunto il nascituro.In particolare, la giurisprudenza in relazione all’art. 32 Cost. ha affermato che il diritto alla salute non è limitato esclusivamente all’attività posta in essere dopo la nascita o a questa condizionata, ma si estende anche al dovere di assicurare le condizioni favorevoli per l’integrità del nascituro nel periodo che precede la nascita. D’altro canto, si riscontrano numerose norme che prevedono forme di assistenza alle gestanti e che sono finalizzate non solo alla tutela della donna, ma anche ad assicurare la salute del nascituro.Appurata l’esistenza del diritto a nascere sano in capo al concepito e la possibilità per lo stesso di chiedere il risarcimento per la sua violazione, deve chiarirsi se la relativa azione possa essere fatta valere nei confronti del medico in via contrattuale o extracontrattuale.La giurisprudenza, sul punto, è pacifica nel ritenere che l’azione risarcitoria possa essere fatta valere in via contrattuale, in virtù del contratto stipulato tra la gestante e il sanitario, in quanto trattasi di un contratto ad effetti protettivi nei confronti dei terzi; con la conseguenza che gli obblighi terapeutici cui è tenuto il medico sono finalizzati non solo alle gestante controparte contrattuale ma anche nei confronti del nascituro e anche del padre stesso.In altri termini, il nascituro, a seguito della nascita sarà titolare del diritto al risarcimento del danno avente natura contrattuale nei confronti dei sanitari.Quanto al padre, la giurisprudenza pacificamente ammette che il contratto ginecologico produca effetti protettivi anche nei confronti del padre, in quanto detto accordo si proietta nei confronti del destinatario finale del negozio ossia del concepito, nei cui riguardi anche il padre ha diritti e doveri derivanti dall’art. 30 Cost.Tanto premesso, il risarcimento del danno che i genitori potranno richiedere include: il danno patrimoniale da inadempimento contrattuale, nonché le spese da sostenere per la crescita di un bambino malformato, richiedente esigenze ulteriori; il danno non patrimoniale, inteso nella sua più ampia eccezione come danno di interessi non economicamente valutabili inerenti alla persona umana e protetti dalla Costituzione, risarcibili a titolo di danno biologico, se a causa della patologia del figlio consegua una malattia psichica del genitore medicalmente accertabile, o a titolo di danno morale, laddove lo stesso non sfoci in una malattia, al fine di evitare una duplicazione del risarcimento.Soprattutto in relazione al danno morale, si pone un problema probatorio, su cui è intervenuta a far chiarezza la sentenza in commento. Invero, La Cassazione ha ribadito come ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali, derivanti da fatto illecito costituente reato, spetti anche il risarcimento del danno non patrimoniale, purchè sia concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima. A ciò non osta il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire iure proprio contro il responsabile.Affinchè possa dirsi raggiunta la prova del suddetto danno, è possibile ricorrere a presunzioni sulla base di elementi obiettivi, forniti dal danneggiato quali le abitudini di vita, la consistenza del nucleo familiare e la compromissione delle esigenze familiari.Nel caso in esame, la Corte ha correttamente ritenuto provato in via presuntiva il danno, in considerazione del rapporto affettivo tra i genitori ed il figlio, nonché della gravità delle lesioni riportate da quest’ultimo.Tale danno andrà poi liquidato in via equitativa, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto e della gravità delle lesioni riportate.Per inciso va altresì ricordato che il caso esaminato è ben diverso dall’ipotesi in cui il risarcimento del danno sia richiesto nei confronti del medico che abbia omesso di informare la madre delle malformazioni del feto, impedendogli di esercitare il diritto di aborto.In questo caso, se si ammette la possibilità di agire per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, alla madre (purchè sussistano determinate condizioni, quali la sussistenza dei presupposti previsti dalla l. 194/1978 per l’esercizio del diritto di aborto e la volontà in capo alla madre di esercitarlo se fosse stata informata della diagnosi), nonché al padre, trattandosi di contratto di prestazione di opera professionale con effetti protettivi anche nei suoi confronti, non può ammettersi analoga legittimazione in capo al concepito.La giurisprudenza afferma come il nostro ordinamento appresta una tutela positiva al concepito, ma non prevede l’esistenza di un diritto a non nascere se non sano. Invero, i principi ormai consolidati in merito sono così riassumibili: l’ordinamento italiano privilegia l’aborto rispetto alla nascita al solo fine di tutelare il prevalente interesse all’integrità psico-fisica della donna; il diritto a non nascere sarebbe un diritto adespota, con un titolare solo in via postuma in caso di violazione, in difetto della quale, rimarrebbe privo di titolare; infine, manca un danno, posto che lo stesso implica una valutazione comparatistica tra una situazione preesistente ed una peggiorativa della stessa, che in tal caso manca, dato che l’alternativa alla non nascita non sarebbe la nascita sana ma la non nascita.In conclusione, stante il riconoscimento in capo al minore di un diritto a nascere ma non di un diritto a non nascere, non può far valere il danno da inadempimento contrattuale iure proprio a causa delle malformazioni derivanti dal difetto di informazione del medico e della struttura sanitaria nei confronti del medico; tutela risarcitoria che invece gli spetta iure proprio nella diversa ipotesi in cui faccia valere il diritto a nascere e a nascere sano.(Altalex, 16 novembre 2010. Nota di Elisa Gazzetta)_______________Precedenti giurisprudenziali:Cass. Civ. sentenza 10 maggio 2002, n. 27435;
Cass. Civ., sentenza 27 luglio 2004, n. 14488;
Cass. Civ., sentenza 20 ottobre 2005, n. 20320;
Cass. Civ., sentenza 14 luglio 2006, n. 16123;
Cass. Civ., sentenza 11 maggio 2009, n. 10741.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONESEZIONE III CIVILESentenza 23 giugno - 5 ottobre 2010, n. 20667
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