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  • L'amministratore di sostegno può chiedere il divorzio

    Fonte: Altalex    
    Analizzando gli artt. 75 e segg. del codice di rito si può facilmente osservare che essi prevedono la capacità di stare in giudizio delle persone che hanno il libero esercizio dei diritti fatti valere mentre, per coloro i quali ne siano privi, ciò non è possibile a meno che non si faccia ricorso agli istituti appositamente stabiliti affinché essi siano rappresentati, assistiti od autorizzati, secondo le norme che regolano la loro capacità. In mancanza della persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza ed in presenza di ragioni d’urgenza, peraltro, l’art. 78 c.p.c. prevede la possibilità di nominare un curatore speciale.

    Al nostro codice di procedura civile, perciò, non sono estranee ipotesi in cui un soggetto diverso dal titolare possa, in taluni casi, agire o resistere in giudizio in vece od in assistenza di quest’ultimo.
    In questo contesto si è inserita la L. n. 6/2004, introduttiva dell’istituto del c.d. “amministratore di sostegno”, la quale ha la dichiarata finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. Come ha sottolineato la più attenta dottrina, infatti, la ratio di un siffatto intervento è sostanzialmente quella che ha ispirato le leggi europee che l’hanno preceduta, ossia introdurre uno strumento duttile e massimamente flessibile per far fronte alla varietà delle situazioni di debolezza e fragilità; in pratica, una sorta di “vestito su misura” tagliato per rispondere alle esigenze individuali, le più variegate possibili, di cura ed assistenza della persona e del patrimonio del bisognoso ([1]).
    Tale regime di protezione, creato per comprimere al minimo diritti, poteri e facoltà della persona disabile, e tale da offrire tutti gli strumenti di assistenza o di sostituzione che possano occorrere di volta in volta per colmare i momenti più o meno lunghi di crisi, di inerzia, di inettitudine del disabile stesso, è strutturato in modo profondamente differente rispetto agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, originariamente previsti dal codice del 1942 a protezione dei disabili ed i quali erano fondati esclusivamente sulla tecnica dell’incapacità legale, creativa di un vero e proprio status, e sulla nomina di un tutore; la persona, perciò, veniva conseguentemente esclusa dal traffico giuridico e sostituita dal rappresentante legale ([2]).
    La prospettiva, rispetto al passato, è perciò completamente rovesciata in quanto il soggetto in difficoltà non viene protetto con una limitazione frutto di una previsione astratta e generica, cioè l’incapacità legale, ma valorizzando direttamente la sua personalità e le manifestazioni (“…con la minore limitazione possibile della capacità di agire…”; art. 1 della L. n. 6/2004) di essa che possono esplicarsi direttamente, anche se con alcune parziali limitazioni di volta in volta specificamente individuate, nonché conservando ad esso la capacità di compiere quegli atti che “non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore di sostegno” (art. 409 c.c.) ([3]). Con il provvedimento di nomina, infatti, si individua caso per caso l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, come previsto dall’art. 405, comma 5 n. 3, c.c., con la precisazione che la scelta di quest’ultimo deve avvenire, ai sensi dall’art. 408, comma 1, c.c., con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona tutelata (norme queste che vanno lette anche alla luce della disposizione transitoria posta all’art. 44, ultima parte, così come novellato dall’art. 12 della L. 6/2004, che assegna al Giudice tutelare il potere-dovere di impartire le “istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario”) ([4]).
    Detto ciò, bisogna ora cercare di comprendere il mutamento di prospettiva causato dall’introduzione della L. n. 6/2004 nei casi di separazione e divorzio della persona incapace.
    Una premessa, però, è di fondamentale importanza e cioè che il divorzio fa venir meno lo status di coniuge comportando rilevanti effetti personali oltre che patrimoniali e, quindi, la domanda giudiziale volta ad ottenerlo non può non rientrare nella categoria dei c.d. atti personalissimi, cioè che possono essere compiuti solo personalmente dalla parte.
    Tale affermazione di principio, tuttavia, non ha più carattere assoluto e ciò lo si può ricavare anche da una interessante pronuncia della Suprema Corte che ha consentito un’importante apertura alla possibilità per una persona interdetta di domandare lo scioglimento del matrimonio, oltre che di resistervi ex art. 4, comma 5, della L. 898/70 ([5]). In passato, infatti, visto che mancava una specifica disposizione normativa che lo prevedesse, il tutore dell’interdetto per infermità di mente non poteva proporre domanda di divorzio per lo stesso; però, in applicazione analogica dell’art. 4, comma 5, della L. n. 898/1970 (regolante l’ipotesi in cui l’interdetto inferma di mente sia convenuto in un giudizio di divorzio), il tutore poteva chiedere la nomina di un curatore speciale che, a sua volta, proponesse la domanda di divorzio ([6]).
    Ciò comportava, giustamente, una notevole apertura che permetteva di risolvere l’annoso problema di riconoscere all’interdetto la possibilità di domandare il divorzio.
    Oggi la situazione è mutata e con l’introduzione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno si è assistito ad una completa inversione di rotta rispetto al passato. La preminenza della cura della persona rispetto a quella del patrimonio ha condotto a ritenere che non si dovrebbe impedire al disabile di compiere atti inerenti ai rapporti di famiglia in quanto essi sono espressione di diritti fondamentali della persona ([7]) e niente è più personale della libertà di sposarsi o di liberarsi di un matrimonio ormai intollerabile (liberarsi di una unione coniugale oramai insostenibile è atto che rientra con maggiore dignità nell’ambito della cura della persona ossia di salvaguardia della salute psico-fisica della stessa e, perciò, la legge non può che valorizzare questi poteri in capo all’amministratore di sostegno). Inoltre, c’è la necessità di garantire al disabile tutta la protezione e l’assistenza necessarie per evitare che l’esercizio di tali diritti fondamentali possa ledere ai suoi interessi od a quelli altrui ([8]).
    Su tali basi si fonda la recente pronuncia del Tribunale di Cagliari ([9]), secondo cui è da ammettersi l’iniziativa dell’amministratore di sostegno nella proposizione della domanda di divorzio, ma essa, in quanto espressione piena della volontà manifestata dal soggetto quando era in condizione di piena capacità, deve essere attentamente vagliata dal giudice mediante un accertamento positivo della corrispondenza della stessa alla volontà del titolare del diritto in tema di scelte fondamentali di vita che attengono all’essenza più intima della persona.
    In pratica, tramite l’istituto dell’amministrazione di sostegno si riesce ad evitare il lungo iter della nomina prima di un tutore, a seguito del giudizio di interdizione, e poi di un curatore speciale necessario (“…in buona sostanza l’Amministratore di sostegno (che non sia coniuge dell'incapace) potrebbe svolgere in parte qua la medesima funzione del curatore speciale che l’art. 4, comma 5, legge n. 898/1970 prevede sia nominato nel giudizio di divorzio all'interdetto”).
    Del resto, una pronuncia opposta avrebbe comportato un ovvio contrasto tra la posizione della persona interdetta, che con la nomina di un curatore speciale potrebbe farsi parte attiva di una domanda di separazione giudiziale o di divorzio, ed il non interdetto bisognoso dell’assistenza di un amministratore di sostegno che, invece, non potrebbe avvalersi di quest’ultimo per intraprendere un’azione vertente nel campo dei diritti personalissimi, i quali solitamente non ammettono sostituzione.
    E’ d’uopo rilevare, infatti, che tale interpretazione ampia degli istituti approntati dallaL. n. 6/2004, i quali tendono a valorizzare l’aspetto protezionistico della personalità dell’amministrato, permette che le azioni de qua possano essere esperite in nome e nell’interesse del soggetto da parte dell’amministratore di sostegno e sempre che il Giudice Tutelare valuti “positivamente la corrispondenza della iniziativa assunta dall'amministratore alla volontà manifestata dal soggetto in condizioni di piena capacità in seguito per qualsiasi causa venute meno” ([10]). In sostanza, dovrà darsi luogo ad “un procedimento di ricostruzione del vissuto dell'incapace (ossia delle opinioni espresse e delle scelte compiute durante il periodo anteriore alla condizione psico-fisica incapacitante) che, fornendo un quadro degli “orientamenti esistenziali” manifestati dal soggetto in condizioni di piena capacità, consenta per tale via un accertamento della (presumibile permanente) volontà dello stesso sulla scorta di argomentazioni logico-presuntive (dalla prova storica di fatti noti si risale, cioè, al presunto contenuto della volontà che il soggetto avrebbe espresso se non fosse sopravvenuta la incapacità)”.
    Ovviamente, tale ricostruzione sarà più facile laddove si debba chiedere la pronuncia del divorzio poiché l’intervenuta separazione dei coniugi può di per se considerarsi come un’espressa volontà del soggetto di sciogliere il preesistente vincolo coniugale.
    In conclusione, l’attuale giurisprudenza oggi è concorde nel garantire la possibilità del duttile strumento dell’amministrazione di sostegno anche per l’esperimento delle azioni dirette ad ottenere il divorzio o la separazione delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.
    (Altalex, 15 febbraio 2011. Nota di Alessandro Verga)
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    [1] E.V. Napoli, L’amministrazione di sostegno, 2009, Ed. Cedam, pagg. 15 e ss.; S. Patti, L’amministrazione di sostegno, 2005, Ed. Giuffrè, pagg. 33 e ss..

    [2] v. Trib. Trani, sez. civile, 28 ottobre 2009, n. 953.

    [3] v. Cass. Civ., sez. I, sentenza 22 aprile 2009, n. 9628.

    [4] v. Trib. Varese, sez. I, decreto 6 ottobre 2009.

    [5] v. Cass. Civ., sez. I, sentenza 21 luglio 2000, n. 9582.

    [6] G. Cassano, L’amministrazione di sostegno nella giurisprudenza, 2008, Ed. Maggioli, pagg. 86 e ss.; E.V. Napoli, L’amministrazione di sostegno, 2009, Ed. Cedam, pagg. 169 e ss.

    [7] v. Trib. Modena, sez. civile, 26 ottobre 2007.

    [8] A. Bortoluzzi, L’amministrazione di sostegno: applicazioni pratiche e giurisprudenza, 2005, Ed. Utet, pagg. 87 e ss.

    [9] v. Trib. Cagliari, sez. civile, 15 giugno 2010.

    [10] v. Trib. Cagliari, sez. civile, 15 giugno 2010.
    Tribunale di Cagliari
    Sezione Civile
    Decreto 10-15 giugno 2010

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