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  • Insubordinazione del lavoratore: la giusta causa di licenziamento deve essere proporzionata ai fatti commessi

    "Per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare".

    E' quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3596 del 14 febbraio 2011 in merito al caso di un lavoratore licenziato per asserita giusta causa, consistente nell'essersi presentato al lavoro, sebbene in ferie, e di essersi rifiutato di uscire dallo stabilimento nonostante i ripetuti inviti in tal senso da parte dei superiori. Il Giudice di primo grado riteneva legittimo il licenziamento intimato al dipendente, rilevando che le condotte del lavoratore integravano una negazione pubblica e palese del dovere di obbedienza nonché una sfida aperta al potere direzionale del datore di lavoro e dunque costituivano un'insubordinazione di gravità tale da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. La Corte d'Appello, invece, dichiarava illegittimo il licenziamento affermando, in particolare, che la condotta tenuta dal lavoratore non appariva tale, né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo, da ledere insanabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, sottolinea come la Corte d'Appello, con congrua motivazione, abbia precisato i fatti provati e rilevato che "non risulta in alcun modo che il lavoratore abbia tenuto un comportamento agitato e scomposto, che abbia dato in escandescenza, alzato la voce o assunto atteggiamenti aggressivi o minacciosi, mentre deve ritenersi incontestato che egli manifestò il proprio rifiuto di lasciare lo stabilimento in forma del tutto civile e corretta, limitandosi a chiedere conferma scritta di quello che, secondo la stessa tesi aziendale, era stato solo un accordo verbale preso con i suoi superiori circa la collocazione in ferie". Inoltre il lavoratore riteneva - non importa se a torto o a ragione - di essere vittima da oltre sei mesi di un comportamento illegittimo del datore di lavoro consistente in un suo pesante dimensionamento; circostanza questa che assume rilievo nell'escludere o ridimensionare la gravità dell'insubordinazione, avvalorando la tesi che il lavoratore avesse reagito ad un comportamento del datore di lavoro ritenuto arbitrario.

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