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  • Studi di settore: pensione e assenza di famiglia a carico non contano


    Fonte: Altalex
    Per dimostrare l’infondatezza dell’avviso di accertamento dei maggiori compensi determinati in base ai parametri contabili, non hanno pregio le circostanze evidenziate dal contribuente che fanno riferimento, nel caso specifico, all’assenza di una famiglia “da mantenere”, alla percezione di redditi da pensione, al supporto economico dei genitori, nonché alla certificazione di una patologia incidente in modo negativo sull’attività lavorativa.

    Lo ha stabilito la Cassazione Civile con la sentenza 5 novembre 2010, n. 22555.
    Nella specie il ricorso era stato presentato da un professionista (architetto), al quale erano stati accertati maggiori compensi per il periodo d’imposta 1998 e che era risultato, in primo grado, vittorioso (la Commissione aveva ritenuto che l’attività professionale fosse esercitata solo in modo sussidiario, essendo il contribuente pensionato e malato), mentre, in secondo grado, soccombente (per aver ritenuto il Giudice non assolto all’onere probatorio a suo carico).
    Dei nove motivi di impugnazione proposti, nessuno è stato accolto dai giudici. In particolare, nel merito, il contribuente sosteneva l’illegittimità dell’accertamento in quanto gli strumenti utilizzati non erano rappresentativi della propria situazione personale-economica e, a fondamento di ciò, richiamava le seguenti circostanze: concordanza tra gli importi dichiarati e quelli risultanti dagli estratti conto bancari; percezione di redditi da pensione che lo portavano a non sviluppare la propria attività in maniera economicamente significativa; non essere sposato e non avere figli (quindi, privo di soggetti da mantenere); supporto familiare, abitando ancora con i genitori.
    La Corte osserva che “gli ultimi tre di detti elementi (...) sono privi di qualsiasi significatività, univocamente oggettiva nel senso voluto dal contribuente perché non necessariamente (né ordinariamente) il professionista che benefici di pensione, che non abbia nessuno da mantenere e che, per giunta, goda di un supporto familiare (...) svolge e/o deve svolgere un’attività professionale ridotta rispetto al collega che viva solo degli onorari professionali, abbia familiari da mantenere e provveda in proprio anche alle spese di alloggio”. Inoltre, “la concordanza invocata, poi, dimostra, al massimo, la formale coincidenza della dichiarazione fiscale con i conti bancari”. In sostanza, nessuna delle circostanze su richiamate “prova la concreta ricorrenza di circostanze peculiari, esterne od interne, influenti negativamente sul regolare svolgimento di qualsivoglia attività professionale”.
    È stata, altresì, ritenuta insufficiente a contrastare l’accertamento la certificazione medica prodotta dal contribuente attestante una patologia (ipotiroidismo) che avrebbe notevolmente ridotto la sua capacità lavorativa. Sul punto, i giudici legittimano l’operato della C.T. Reg., che aveva ritenuto l’inidoneità probatoria di quel certificato, “essendo detta asserzione priva di qualsiasi riferimento a concreti parametri medico-legali o di un qualche diverso elemento di riscontro concreto dal parte dello stesso certificante, specie quanto all’avverbio (..) notevolmente”.
    Prive di rilievo, inoltre, sono state ritenute le “critiche” mosse dal contribuente ai criteri di formazione dello strumento presuntivo, che si riducono a semplici opinioni personali, prive di per sé di valenza probatoria.
    (Altalex, 17 novembre 2010. Articolo di Angelo Saitta)

    SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
    SEZIONE TRIBUTARIA
    Sentenza 5 novembre 2010, n. 22553

    Svolgimento del processo
    Con ricorso notificato il 29 maggio 2006 all'AGENZIA delle ENTRATE (depositato lunedì 19 giugno 2006), C.G. - premesso che "sulla base presuntiva dei ricavi calcolati mediante l'applicazione dei parametri fissati dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996" l'Ufficio, con atto notificato il 3 ottobre 2001, aveva determinato, per l'anno d'imposta 1996, ai fini dell'"IRPEF" (nonchè del contributo al servizio sanitario nazionale e del contributo straordinario per l'Europa) un "maggior reddito di impresa" -, in forza di sette motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 71/03/04 della Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo (depositata il 14 aprile 2005) che, in reiezione del suo ed in accoglimento dell'appello "incidentale" dell'Officio avverso la decisione (18/02/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Teramo - la quale aveva ridotto a L. 98.721.000 i "ricavi accertati" -, aveva respinto "nella sua interezza" il ricorso di primo grado da lui proposto.
    Lo stesso 19 giugno 2006 il C. inviava alla Corte (con le modalità previste dall'art. 134 disp. att. c.p.c.) copia autentica della sentenza impugnata.
    Nel controricorso notificato il 21 luglio 2006 (depositato il 31 luglio 2006) l'Agenzia intimata instava per il rigetto dell'avversa impugnazione.
    Motivi della decisione
    1. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale - esposto che nei suo appello il C. si era doluto (a) "dell'inapplicabilità dei parametri" ("per esser congrui i valori dichiarati", "confortati da elementi non tenuti in conto dall'Ufficio" ("mezzi destinati all'attività agricola connessa a quella principale di impresa per movimento terra")), (b) "dell'inapplicabilità delle sanzioni... giusta quanto previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8", (c) della "carenza di motivazione dell'avviso" ("non essendo stato redatto il processo verbale di contraddittorio") e (d) "dell'illegittimità del ricorso ai crateri di equità nella... determinazione dei ricavi e del reddito d'impresa" -, reietto quello principale del contribuente, ha accolto l'appello dell'Ufficio (respingendo "nella sua interezza" il ricorso di primo grado) osservando:
    - "ogni tardiva resipiscenza" ("peraltro sfornita di qualsivoglia serio conforto") in ordine ai "presunti errori" ("in cui il C. in sede contenziosa, e solo in questa..., assume di essere incorso": "sull'attività lavorativa e sul relativo codice";
    "sull'entità degli interessi passivi") è "vana e del tutto inconcludente" atteso che il contribuente (il quale "correttamente aveva indicato, nella dichiarazione, come propria attività quella di "altri lavori speciali di costruzione" (e ciò lo si evince anche dallo stesso timbro da lui apposto nelle fatture allegate, che reca la dicitura "impresa movimento terra" che di per sè inequivocabilmente esclude il mero "noleggio macchine ed attrezzature per la costruzione o demolizione, con manovratore" e dalla descrizione di talune delle fatture dalle quali si evince l'esercizio diretto delle attività connesse al "movimento terra" ed al settore dei lavori "speciali" di costruzione") "non ha fornito alcuna prova seria e probante nè dell'erroneità delle indicazioni da lui stesso fornite all'Ufficio nè che i maggiori ricavi, determinati forzatamente dalla sua mancata presentazione a rendere all'accertatore i necessari chiarimenti, fossero conseguenza di situazione anomale, straordinarie, in qualche modo estranee alla sua volontà";
    - "... siffatta situazione ha reso impossibile, e questo è l'argomento che rende pretestuosa anche la doglianza sub e), qualsivoglia redazione del verbale del contraddittorio:
    contraddittorio che, per comportamento ascrivibile al solo contribuente, non si è neppure potuto approcciare e la cui mancanza ha condotto alla rideterminazione dei ricavi con i parametri automatici connessi all'attività svolta";
    - la "disponibilità tra i beni strumentali di attrezzature tipo un trattore, un caricatore, una motosega, un motoriduttore per motosega, un motore idraulico, un decespugliatore", "lungi dal comprovare congruamente un'attività collaterale" ("pretesa attività agricola... collaterale a quella principale") "che il contribuente non ha mai segnalato... di svolgere", non è "idonea... a dimostrare l'erroneità dell'apprezzamento dell'Ufficio posto che si tratta di attrezzature, per cosi dire ibride quanto ad applicazione, e pienamente compatibili con le attività di movimento terra e connesse che (il) C.... ha sempre svolto": "è intuitivo che per i lavori del genere di quelli, ad esempio, descritti nelle fatture...
    (omissis) ed altre le attrezzature sopra specificate fossero ben idonee ed, anzi, necessarie per quei tipi di interventi coerenti con l'attività principale svolta e senza che la loro disponibilità sia in grado di dimostrare l'esistenza di una fantomatica attività minoritaria di impresa agricola (quanto alle cambiali agrarie ed al libretto UMA anch' essi argomenti hanno valore sostanzialmente nullo ai fini che qui interessano)";
    - "le sanzioni... sono il frutto evidente e scontato dell'inadeguatezza del dichiarato rispetto all'accertato". 3. Il C. - dedotto di avere eccepito (nel ricorso di primo grado) (1) "l'inapplicabilità dei parametri alla sua realtà lavorativa costituita da un'azienda agricola e da un'attività industriale" (per la quale "ultima" aveva "erroneamente": dichiarato tra i "beni strumentali" anche quelli "utilizzati nell'attività agricola"; "esposto interessi passivi per l'acquisto di altri cespiti" ed indicato "il codice di attività"), (2) "la carenza di motivazione dell'avviso" (basato "sull'assunto infondato" che egli non "avesse aderito all'invito dell'Ufficio e non avesse... inteso definire l'accertamento mediante adesione") per non aver l'Ufficio "redatto il processo verbale di contraddittorio" e (3) l'"inapplicabilità delle sanzioni D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 8" - censura la decisione di appello con sette motivi.
    A. Con il primo il ricorrente - richiamato il principio affermato da questa sezione nella sentenza "30 settembre 2005 n. 19260"; assunto che la L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 a 189 riconducono "l'accertamento parametrico all'accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)" - denunzia "violazione e falsa applicazione" del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18 e 21, art. 53 Cost., artt. 2729 e 2697 c.c. nonchè "erronea, illogica e contraddittoria motivazione" esponendo:
    - egli "ha fornito sia nella fase precontenziosa, che processuale, in primo ed in secondo grado, la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto, nonchè la prova dell'inesistenza del presupposto del maggior reddito, motivando la non rispondenza dei dati erroneamente dichiarati con quelli reali, che sarebbero emersi in sede di una verifica puntuale, volta alla corretta individuazione della reale capacità contributiva di esso ricorrente, anche attraverso l'allegazione di una molteplicità di elementi tali da giustificare lo scostamento dai parametri e la loro non applicazione";
    - la "presunta tardività" della "resipiscenza", affermata nella sentenza impugnata, "non può assurgere a motivo di rigetto dell'appello" perchè ("Cass.... trib., 15 dicembre 2003 n. 19163") "anche in ipotesi di legittima utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte dell'amministrazione, è sempre ammessa a carico del contribuente la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto; tale prova può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il giudice nel suo prudente apprezzamento può configurare e valutare".
    Il ricorrente, quindi, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., formula il "quesito" "se, anche in ipotesi di legittima utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte dell'Amministrazione, sia ammessa a carico del contribuente, non solo nella fase pregiudiziale di accertamento, ma anche in quella contenziosa, la prova dell'inapplicabilità dei parametri al caso concreto e se tale prova può essere costituita da presunzioni".
    B. Con la successiva doglianza il C. contesta la "motivazione" con cui la sentenza impugnata ha ritenuto che egli non aveva fornito "alcuna prova serie e probante nè dell'erroneità delle indicazioni da lui stesso offerte all'Ufficio, ne che i maggiori ricavi, determinati forzatamente dalla sua mancata presentazione a rendere i necessari chiarimenti fossero conseguenza di situazioni anomale, straordinarie, in qualche modo estranee alla sua volontà,... Siffatta situazione ha reso impossibile, e questo è l'argomento che rende pretestuosa anche la doglianza sub c), qualsivoglia redazione del verbale del contraddittorio..." e denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 2729 e 2697 c.c. nonchè "erronea, illogica e contraddittoria motivazione" adducendo che "la conclusione cui è pervenuto il giudice di secondo grado" non è "connotata da requisiti di certezza e concordanza" atteso che "agli atti non vi è nessuna traccia documentale dell'effettiva" sua "partecipazione al contraddittorio presso l'Ufficio" sì che "in mancanza di prova, entrambi gli assunti difensivi, sia quello dell'Ufficio, sia quello (di esso) contribuente, hanno la stessa valenza, potendo essere... ugualmente veritieri ovvero mendaci"; a conclusione, quindi, formula questo "quesito":
    "se in mancanza di prova dei rispettivi assunti difensivi delle parti, l'assunto di una delle parti possa assurgere a valore di prova idonea a determinare la soluzione della questione controversa o se, al contrario, l'assunto di ciascuna parte abbia la medesima valenza di quello dell'altro".
    C. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione" della L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 7 (che enuncia "il principio di chiarezza e motivazione degli accertamenti tributari...") e L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 (per il quale "gli atti di natura tributaria devono essere motivati con l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che hanno determinato l'azione del provvedimento") nonchè "illogica, erronea e contraddittoria motivazione" sostenendo che l'"avviso di accertamento" è "necessariamente nullo" perchè, con violazione di tali norme, "alcunchè è stato allegato" allo stesso (in particolare non sono stati allegati i "D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e 21 marzo 1997, contenenti le note tecniche poste a base del calcolo") e l'atto "contiene una motivazione soltanto apparente" in quanto "i maggiori ricavi determinati... ed il totale dei ricavi presunti" vengono "indicati" dopo un "generico riferimento ai parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996... senza l'esposizione del procedimento logico seguito per determinarlo".
    Il C. aggiunge che "la.mancata redazione del processo verbale di contraddittorio comporta in sè la nullità dell'atto per violazione del disposto normativo di cui all'art. 7" detto ("comma 1, lett. c)") "a nulla rilevando a giustificazione della mancata redazione... il fatto che la convocazione del contribuente non si sia concluso con l'atto di adesione" essendo "preciso obbligo dell'Ufficio redigere il suddetto processo verbale affinchè emergano con chiarezza le dichiarazioni rese dalle parti, le argomentazioni vagliate, le prove esibite e a conclusione una adeguata motivazione".
    Il ricorrente termina la doglianza con questo "quesito":
    "se è legittimo l'avviso di accertamento sulla base di parametri, istituito dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 179 e ss., che non contenga l'indicazione del procedimento logico seguito per determinare il totale dei ricavi presunti e se, in ossequio al disposto normativo di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, lett. c) il verbale del contraddittorio richiamato nel suddetto avviso, debba essere allegato in ogni caso, sia che il contraddittorio si concluda con l'adesione del contribuente alla proposta concordataria, sia nel caso di mancata adesione alla stessa, sia nel caso in cui il contribuente non aderisca all'invito, a pena di nullità dell'avviso stesso".
    D. Con il quarto motivo il C. - esposto avere, "sia nella fase precontenziosa che in quella giudiziale", (2) "rappresentato che nel prospetto dati per l'elaborazione dei parametri..., insieme, ai beni afferenti l'attività industriale oggetto dell'accertamento, (erano) stati erroneamente indicati alcuni beni strumentali utilizzati nella propria attività agricola" ("i maggiori ricavi accertati... derivano essenzialmente dalla variabile "valore dei beni strumentali", evidenziata nella dichiarazione dei redditi per l'importo complessivo di L. 415.764.000") e (2) "dichiarato... erroneamente anche gli interessi passivi maturati sul finanziamento per l'acquisto di alcuni cespiti" - denunzia "omessa, insufficiente, ovvero contraddittoria ... valutazione delle prove e degli indizi" da lui "addotti" nonchè "violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. e dei principi in materia di onere della prova" affermando:
    - "alcuni beni elencati nel libro dei cespiti" ("trattore FIAT 80 F 12"; "ruspa cingolata FIAT ALLIS", per "avvalorare la destinazione agricola" della quale aveva prodotto "il libretto UMA in dotazione all'azienda agricola e le cambiali agrarie occorse per la regolarizzazione del pagamento"; "caricatore FAMI GM"; "caricatore anno 1985"; "motosega"; "lo STHIL 0 64"; "motoriduttore per motosega"; "motore idraulico"; "supporto UCF 210 foro 50"; "aratro GIORGIO"; "supporto UCP 206 foro 30") sono, "per loro natura", "funzionalmente destinati all'attività agricola";
    - "l'autocarro ed il decespugliatore" potevano essere "indifferentemente utilizzati sia per l'attività industriale che per quella agricola", per cui doveva essere affermato "un impiego di detti beni al 50% tra le due attività";
    - "l'automezzo", essendo "deducibile solo al 50%", "ai fini dell'elaborazione dei parametri rileva per l'importo corrispondente";
    - "molti beni determinanti per il calcolo degli studi di settore", come era "agevole desumere" dall'"esame del libro cespiti", "risultano completamente ammortizzati e vetusti" (per cui "i valori riferibili" agli stessi "avrebbero dovuto essere eliminati o decurta ti... tra il 50% ed il 75%");
    - "l'apporto lavorativo di un solo dipendente e la parziale attività lavorativa" di esso ricorrente ("il quale presta attività lavorativa anche nella propria impresa agricola"), "essenzialmente amministrativa e commerciale", "evidenziano l'esubero del numero delle macchine e delle attrezzature rispetto all'organizzazione del lavoro".
    Secondo il C., per gli "esposti elementi probatori", "il valore dei beni strumentali utilizzati esclusivamente nell'attività industriale sarebbe stato di L. 170.711.250".
    Il ricorrente, ancora, ritiene "contraddittoria... la motivazione della sentenza... d'appello" secondo cui "è intuitivo che per lavori del genere di quelli, ad esempio descritti nelle fatture...le attrezzature sopra specificate fossero ben idonee ed, anzi, necessaria per quei tipi di interventi coerenti con l'attività principale svolta e senza che la loro disponibilità sia in grado di dimostrare l'esistenza di una fantomatica attività minoritaria di impresa agricola" perchè (1) "il fatto stesso di aver fatto... riferimento ad una "attività principale" ... implica necessariamente l'implicito riconoscimento dell'esistenza di un'attività secondaria e/o minoritaria" e (2) "il riferimento ai lavori descritti nelle fatture... richiamate" è "assolutamente irrilevante... al fine di dimostrare l'esistenza di un'attività collaterale (quella agricola)" essendo "lapalissiano", "dall'esame delle suddette fatture", che "i macchinar e le attrezzature nelle stesse indicati (ruspa FIAT 605 HP 65, pala meccanica... terna gommata... escavatore gommato... pala meccanica cingolata) non siano assolutamente quelli che (egli) assume... essere funzionalmente dedicati all'attività agricola (trattore..., ruspa cingolata FIAT ALLIS, caricatore FAMI GM, caricatore anno 1985, motosega, STHIL 0 64, motoriduttore per motosega, motore idraulico, supporto UCF... aratro GIORGIO, supporto UCP...)" ed avendo egli affermato, "quanto al nolo dell'autocarro... e... dei decespugliatore... l'indifferenziata utilizzazione... sia per l'attività industriale che per quella agricola".
    Il C., quindi, chiede ("quesito") "se in presenza di presunzioni semplici a mente dell'art. 2729 c.c., gravi precise e concordanti, oltrechè coerenti con le prove documentali e da queste confermate, possa essere superata la presunzione dell'applicabilità tout court della determinazione presuntiva dei ricavi per il 1996 sulla base dei parametri previsti dal D.P.C.M. 21 gennaio 1996 come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997".
    E. Con il quinto motivo il ricorrente - ricordato che la "modalità di accertamento" mediante "parametri", istituita "dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 179 e ss.", è stato sostituita "dagli studi di settore" ("strumento di controllo molto più attendibile e completo") - denunzia "omessa, insufficiente, ovvero contraddittoria... valutazione delle prove e degli indizi" da lui "addotti" e "delle Circolari Ministeriali n. 203/E del 20 ottobre 1999, n. 117/E del 13 maggio 1996, n. 25/E del 14 marzo 2001" nonchè "violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2597 c.c. e dei principi in materia di onere della prova" affermando che i "giudici" "di primo grado (e)... di secondo grado hanno omesso ogni motivazione" sulla "congruità rinveniente dall'applicabilità degli studi di settore (GE.RI.CO)" nonostante "nei ricorsi" esso avesse "dimostrato che l'applicazione della metodologia valutativa basata sugli studi di settore conduce ad un giudizio di congruità che non è stato impugnato dall'Ufficio" (il quale ha assunto che "trattasi di facoltà che il contribuente avrebbe dovuto far valere in sede di contraddittorio").
    Sinteticamente, il C. chiede ("quesito") "se il contribuente, alfine di giustificare in tutto o in parte la legittimità dello scostamento dei ricavi o compensi dichiarati da quelli calcolati sulla base dei parametri, può validamente addurre avanti la commissione tributaria... le risultanze dello studio di settore già approvato con riferimento alla propria attività e se questa può procedere a determinare i ricavi attribuibili al soggetto sulla base degli studi di settore con il prodotto informatico GE.RI.CO., utilizzando i dati contabili e i dati strutturali dell'azienda relativi al periodo d'imposta 1996".
    F. Con il sesto motivo il C. censura l'affermazione del giudice a quo secondo la quale "le sanzioni... sono il frutto evidente e scontato dell'inadeguatezza del dichiarato rispetto all'accertato" e denunzia "violazione e falsa applicazione" del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 187, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 75 e art. 192 c.p. (recte: c.p.p.) assumendo che "anche sul punto la decisione è erronea, insufficiente, carente di motivazione" perchè:
    - "l'art. 8... consente alla commissione tributaria di dichiarare non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie, quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce";
    - per "la L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181... la determinazione dei maggiori ricavi da parametri non costituisce notizia di reato ex art. 331 c.p.";
    - per gli "D.P.R. n. 600 del 1913, art. 10 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 75..., in materia di accertamento si applicano le norme del codice di procedura penale";
    - per l'"art. 192 c.p. (recte: c.p.p.)... "l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti" per cui "ai fini penali gli indizi derivanti da parametri non possono... assurgere a prove dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza".
    Per il C., quindi, "solo colui di cui sia pienamente provata la responsabilità per la violazione sanzionatoria... può essere assoggettato ad una sanzione pecuniaria, non diversamente che ad una sanzione penale (Cass. n. 8031 del 26 giugno 1992".
    In sintesi ("quesito") il ricorrente chiede "se l'accertamento del maggior reddito in base ai parametri presuntivi di ricavi e compensi di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 179 e ss., consente di applicare le sanzioni per infedele dichiarazione, il D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 46, comma 4 e art. 43, comma 2, in caso di assenza di prova manifesta della commissione dell'illecito e se nel caso... è stata raggiunta la prova della commissione del suddetto illecito avverso la suddetta violazione è solo presunta".
    G. Con il settimo (ultimo) motivo il contribuente - assunto che "la Commissione Tributaria Provinciale di Teramo ha deciso il ricorso secondo equità, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, pur potendo formulare un proprio giudizio estimatorio sulla base degli elementi provati o, comunque, incontroversi" ("quali beni ammortizzabili, interessi passivi ecc"; "prospetti contabili attendibili (ipotesi parametriche alternative, conseguibili con le diverse tipologie di beni e con i diversi codici di attività";
    "applicazione degli appropriati studi di settore") - denunzia "violazione e falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c." nonchè "omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione" adducendo che i giudici di appello, pur avendo riscontrato "l'illegittimità della decisione" di primo grado, sono pervenuti alla loro decisione "solo sulla scorta di quanto erroneamente sostenuto relativamente ai precedenti motivi di gravame" da lui "proposti", "senza fornire alcuna logica coerente motivazione sulla denunciata effettiva violazione dell'art. 113 c.p.c.": chiede, quindi ("quesito"), "se è consentito al giudice tributario decidere secondo equità in materia di opposizione avverso l'avviso di accertamento sulla base dei parametri di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 179 e ss., e nel caso in cui non sia consentito, quali sono i criteri e/o i principi di diritto ai quali il giudice deve uniformarsi". 4. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.
    A. In via preliminare va evidenziato che la sentenza impugnata è stata depositata prima del 2 marzo 2006, giorno di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40: conseguentemente il C. non è tenuto ad osservare le disposizioni dettate dall'art. 366 bis c.p.c. (ora abrogato) introdotto dall'art. 6 di tale decreto: i quesiti formulati, pertanto, vanno intesi unicamente quali sintesi (non necessaria) di ciascuna doglianza.
    B. All'esame del ricorso, poi, va premesso - anche a dimostrazione dell'infondatezza del primo motivo di ricorso - il richiamo al principio (da ribadire per carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria) affermato dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 18 dicembre 2009 n. 26635) secondo cui:
    - "la procedura di accertamento standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell'accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano state disattese";
    - "il contribuente ha, nel giudizio relativo all'impugnazione dell'atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall'ente impositore, quanto la contro-prova sul punto offerta dal contribuente" stesso.
    Secondo le sezioni unite, quindi, il sistema di "accertamento" dei redditi "per standard" (tra i quali anche quello, qui rilevante, fondato sui cd. "parametri") "trova il suo punto centrale nell'obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale".
    C. Il giudice di appello, come riportato, ha affermato che "i maggiori ricavi" sono stati "determinati forzatamente dalla... mancata presentazione" del C. "a rendere all'accertatore i necessari chiarimenti", ovverosia in conseguenza di detta "mancata presentazione".
    Questo preciso accertamento fattuale negativo, come ovvio, non può ritenersi contrastato dalla mera contraria (peraltro del tutto astratta, non essendo confortata da nessun preciso riferimento, neppure temporale, da cui desumere l'espletamento di una qualche attività di "presentazione", ovverosia di sottoposizione all'esame dell'Ufficio dei "necessari chiarimenti") affermazione del ricorrente (il quale si è limitato a dire: l'"assunto... che il contribuente non avesse aderito all'invito dell'Ufficio" è "infondato"; egli "ha fornito... nella fase precontenziosa... la prova"; "nella motivazione" dell'atto impositivo "non vi era alcuna traccia del contraddittorio") essendo, di contro, necessario, per contestare detto accertamento, la denunzia (nel caso del tutto mancante) di un qualche vizio dello stesso riconducibile alla fattispecie regolata dall'art. 360 c.p.c., n. 5; denunzia da corroborare, per giunta, con la evidenziazione (imposta dall'art. 366 c.p.c.) dei concreti elementi asseritamene non e/o malamente considerati dalla Commissione Tributaria Regionale: pertanto, deve ritenersi irreversibilmente accertato che il C., non rispondendo neppure allo stesso, non ha consentito lo svolgimento di alcun "contraddittorio endoprocedimentale".
    Da siffatta irreversibilità discende evidente l'infondatezza del secondo motivo di ricorso, non risultando vero il fatto supposto nel formulato "quesito", ovverosia la "mancanza di prova dei rispettivi assunti" in ordine alla "partecipazione" del ricorrente "al contraddittorio presso l'Ufficio": questo, infatti, in base a quanto definitivamente acclarato dal giudice del merito, ha dimostrato di aver rivolto al contribuente (che, oltre tutto, non lo ha mai contestato) l'invito al contraddittorio; a conferma dell'infondatezza detta, va ricordato che per effetto della natura impugnatoria propria del vigente processo tributario, l'eventuale mancanza del preventivo "contraddittorio endoprocedimentale" deve costituire espresso e specifico motivo di impugnazione dell'atto impositivo, non essendo tale mancanza rilevabile d'ufficio dal giudice del merito: il C., però, lamenta (al massimo) l'inesistenza ("non vi era alcuna traccia") di un contraddittorio ma non di aver eccepito di non aver ricevuto l'opportuno invito.
    L'inesistenza, nel caso, del contraddittorio, quindi e in definitiva, deve ritenersi imputabile esclusivamente alla libera scelta difensiva del contribuente il quale ha preferito non accettare l'invito.
    D, La medesima irreversibilità travolge anche la violazione del "principio di chiarezza e motivazione degli accertamenti tributari" (L. n. 212 del 2000, ex art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 3) lamentata nel terzo motivo di ricorso non avendo alcun senso logico pretendere (come il C., il quale, nel quesito formulato, sostiene che "il verbale di contraddittorio... debba essere allegalo", "appena di nullità dell'avviso", anche "nel caso in cui il contribuente non aderisca all'invito") od imporre la redazione (e la conseguente allegazione all'atto di imposizione fiscale) di un verbale "negativo", di mera attestazione della mancata comparizione del contribuente invitato, atteso che un siffatto adempimento è del tutto ultroneo perchè non contribuisce in alcun modo (nè il ricorrente svolge alcuna considerazione in proposito) a rendere più chiara e/o completa la motivazione di detto atto.
    In coerenza con il principio affermato nella richiamata decisione delle sezioni unite, quindi, deve ribadirsi esser necessario e sufficiente, in ipotesi di mancata accettazione dell'invito da parte del contribuente, che l'Ufficio si limiti ad indicare nell'atto di imposizione i dati dell'avvenuto rispetto della norma (oltre che ad offrirne, poi, la prova in giudizio in ipotesi di avversa contestazione).
    E. A completamento dello scrutinio della terza doglianza, va poi ribadito (Cass., trib., 17 ottobre 2008 n. 25371) che l'obbligo, posto all'"amministrazione finanziaria" dall'ultimo inciso della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, ("chiarezza e motivazione degli atti") in aggiunta a quello primario di motivare i propri atti "secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3" ("indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinalo la decisione dell'amministrazione"), di allegare a quello "che lo richiama" l'eventuale "altro atto" al quale "si fa riferimento" nella motivazione, giusta anche l'espresso rimando ("secondo quanto prescritto"), in via logica, deve essere letto sempre alla luce della L. n. 214 del 1990, art. 3, in particolare del comma 3, il quale prescrive che "se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama".
    Per l'ultima disposizione normativa, considerata l'univoca sua finalità di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa del destinatario dell'atto (con l'anticipata e compiuta conoscenza e delimitazione di tutte le "ragioni" che l'amministrazione può dedurre cd. opporre nell'eventuale sede giudiziaria), l'obbligo di allegazione imposto dall'art. 1, (ulteriore rispetto a quelli di mera indicazione e messa a disposizione, originariamente previsti dall'art. 3) assume un evidente ed univoco significato di necessaria correlazione integrativa delle "ragioni" che, per l'amministrazione emittente, sorreggono la "decisione" contenuta nell'atto amministrativo.
    La funzione unicamente integrativa delle "ragioni della decisione" svolta dall'(obbligo di) allegazione impone di delimitare lo stesso ai soli atti ("esterni") di "riferimento" che siano necessari per sostenere quelle "ragioni", pur intese, queste, in senso ampio, quindi non limitate a quelle puramente "giuridiche" ma comprensive anche dei "presupposti di fatto".
    Il raggiungimento effettivo della funzione detta, pertanto, impone di escludere dall'obbligo di allegazione, da un lato, gli atti irrilevanti - perchè non funzionali alla motivazione dell'atto impositivo (cfr. Cass., trib., 3 marzo 2010 n. 5052) - e, dall'altra, gli atti (in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le "delibere" od i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell'avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione.
    Siffatta conclusione trova conferma (Cass., trib., 16 marzo 2005 n. 5755 la quale ricorda che gli "atti generali... sono comunque soggette a pubblicità legale e, quindi, la loro conoscibilità è presunta") nel D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32 che con l'art. 1, lett. c), n. 1, ha aggiunto, in fine del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2 e con l'art. 2 ha aggiunto al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 4 l'inciso secondo cui "se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale": dal complessivo dato normativo risultante si deduce, per converso, che l'atto richiamato non deve essere allegato agli avvisi di accertamento indicati dagli artt. 42 e 56 detti quante volte lo stesso sia conosciuto.
    La L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 186, come noto, prevede espressamente che i "decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri" di approvazione ("sono approvati") dei "parametri di cui al comma 184" siano pubblicati "nella Gazzetta Ufficiale": il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 è stato pubblicato nel supplemento ordinario n. 15 alla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 1996 mentre quello del 27 marzo 1997 è riprodotto nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 28 aprile 1997.
    Tale forma di pubblicità ha, quindi, determinato la conoscenza legale dei "parametri" stessi da parte di tutti i contribuenti e, di conseguenza, la non necessità di allegazione degli stessi ai singoli atti di accertamento fiscale.
    L'univoco riferimento ad "altro atto", poi, impone di lasciare fuori dall'obbligo di allegazione dall'atto amministrativo) l'eventuale documento propriamente probatorio del "fatto".
    F. La risposta indubitabilmente positiva - conseguente alla necessità di applicare il principio generale concernente la parità delle parti e l'effettività del diritto di difesa nel processo, anche tributario (cfr. Cass., 16 maggio 2007 n. 11221), consacrato dall'art. 111 Cost., nonchè quello specificamente espresso nella decisione delle sezioni unite del 2009 richiamata innanzi sub B (secondo cui, come riportato, "il contribuente ha, nel giudizio relativo all'impugnazione dell'atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici...") - da dare al " quesito" formulato dal C. a conclusione del suo primo motivo di ricorso ("se, anche in ipotesi di legittima utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte dell'Amministrazione, sia ammessa a carico del contribuente, non solo nella fase pregiudiziale di accertamento, ma anche in quella contenziosa, la prova dell'inapplicabilità dei parametri al caso concreto e se tale prova può essere costituita da presunzioni") non è sufficiente, da sola, a determinare la cassazione della sentenza impugnata atteso che il giudice di appello non ha affermato (nè il ricorrente indica, come necessario ex art. 366 c.p.c., l'afferente, diverso punto ipoteticamente contrastante) nessun principio contrario quando ha esposto che il C. "non ha fornito alcuna prova seria e probante nè dell'erroneità delle indicazioni da lui stesso fornite all'Ufficio nè che i maggiori ricavi... fossero conseguenza di situazione anomale, straordinarie, in qualche modo estranee alla sua volontà".
    Siffatta specifica affermazione, come evidente, non è frutto di una esegesi normativa - tanto meno delle norme (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18 e 21, art. 53 Cost., artt. 2729 e 2697 cod. civ.) di cui il ricorrente denunzia la "violazione e falsa applicazione" - ma rappresenta unicamente il giudizio conclusivo del controllo, compiuto dal giudice del merito, del complessivo materiale (allegazione e prove) offerto al suo esame e, pertanto, impinge nell'accertamento propriamente fattuale circa la effettiva sussistenza di "elementi" giustificativi sia dello "scostamento dai parametri" che della "non applicazione" degli stessi, oggetto degli ulteriori motivi di ricorso.
    G. La prova delle effettiva sussistenza di siffatti "elementi" (sia dello "scostamento" che della "non applicazione dai parametri") - e, di conseguenza, dell'errore del giudice che, invece, ne ha escluso l'esistenza agli atti del processo - non si rinviene assolutamente nella complessiva doglianza contenuta nei quarto motivo di ricorso.
    G.1. La qualifica come "principale" dell'"attività" di "movimento terra" dichiarata dal contribuente, da parte della Commissione Tributaria Regionale, invero, non denota nessuna contraddizione con la negazione dello svolgimento di altra "attività "minoritaria" di impresa agricola" avendo quel giudice definito quest'ultima "fantomatica": di conseguenza la qualifica di "principale" assume, nel pensiero del giudicante, evidente ed univoco valore meramente ipotetico, per nulla assertivo, neppure implicitamente, dell'avvenuto accertamento dello svolgimento dell'"attività "minoritaria" detta.
    G.2. La contestazione dell'insussistenza, ritenuta dal giudice a quo, dei due errori della dichiarazione ("erroneamente indicati alcuni beni strumentali utilizzati nella propria attività agricola";
    "dichiarato... erroneamente anche gli interessi passivi maturati sul finanziamento per l'acquisto di alcuni cespiti"), contenuta nel motivo, impone di ricordare che (Cass., trib. : 10 marzo 2006 n. 5361; 19 gennaio 2009 n. 1128; 21 luglio 2009 n. 16873) - fermi i principi secondo i quali (1) "l'emendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto a di diritto, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione, si fonda sulla impossibilità di assoggettare il dichiarante ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico, in conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e della aggettiva correttezza dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.)" e (2) "la possibilità di rettifica" non "incontra limiti nella natura della dichiarazione" perchè questa "non si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell'iter procedi mentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria" - la facoltà di ritrattare e di modificare la dichiarazione produce effetti diversi a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell'avviso di liquidazione della maggiore imposta, ovvero successivamente alla stessa: nel primo caso, infatti, l'ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l'esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a suo carico; nella seconda ipotesi (cui corrisponde quella in esame), invece, pur non potendo considerarsi precluso l'esercizio della facoltà di correzione, quest'ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente "tutti gli oneri di dimostrazione sulla correttezza della rettifica proposta".
    G.3. Ciò posto, va rilevato che tutte le ulteriori considerazioni svolte dal ricorrente nel motivo non evidenziano nessuna manchevolezza, nè alcun vizio logico, nel complessivo giudizio negativo del giudice di appello quanto alla prova del contemporaneo espletamento, da parte del C., anche di una "attività "minoritaria", soprattutto perchè la pretesa destinazione funzionale, "per loro natura", dei beni "strumentali" specificamente indicati nella doglianza - tali qualificati e qualificabili, evidentemente, perchè così enunciati dallo stesso contribuente in relazione all'attività di "movimento terra" dichiarata - allo svolgimento di una attività agricola (in ordine alla quale il C. non indica neppure quali conferenti elementi di fatto identificativi (come la disponibilità di terreno, l'estensione di questo, l'osservanza delle conferenti disposizioni contributivo- previdenziali) abbia sottoposto al vaglio del giudice del merito) non solo non risulta evincibile da nessun elemento diverso dalla mera (intuitivamente interessata) affermazione del ricorrente ma, oggettivamente (non essendo stati esposti motivi dai quali desumere l'esclusiva loro utilizzabilità in una attività agricola), non smentisce affatto la idoneità (ritenuta dal giudice di appello) degli stessi - come anche dell'"autocarro" e del "decespugliatore" - ad essere utilizzati per l'espletamento soltanto dell'attività di "movimento terra".
    La carenza di prova, in ordine allo svolgimento di una "parallela" attività agricola rende irrilevanti tutte le ulteriori osservazioni del ricorrente atteso che:
    (1) l'assunta dimidiata ("solo al 50%") deducibilità dell'"autocarro" e il preteso "esubero del numero delle macchine e delle attrezzature rispetto all'organizzazione del lavoro" sono fondati solo sullo svolgimento di quella attività agricola che il giudice del merito, invece, ha correttamente (giusta l'infondatezza delle critiche svolte dai ricorrente) ritenuto non vero e (2) il preteso ammortamento di (peraltro indeterminati) "molti beni" nonchè la (anche questa del tutto generica, per omessa specificazione di qualsiasi opportuno dato identificativo e/o qualificativo) affermazione della loro vetustà si rivelano meramente asseriti perchè carenti di qualsiasi riferimento circa la fonte della prova degli afferenti fatti offerta all'esame della Commissione Tributaria Regionale.
    H. Il quinto motivo di ricorso (con il quale, sinteticamente, il C. chiede "se il contribuente, al fine di giustificare in tutto o in parte la legittimità dello scostamento dei ricavi o compensi dichiarati da quelli calcolati sulla base dei parametri, può validamente addurre avanti la commissione tributaria...le risultanze dello studio di settore già approvato con riferimento alla propria attività e se questa può procedere a determinare i ricavi attribuibili al soggetto sulla base degli studi di settore con il prodotto informatico GE.RI.CO., utilizzando i dati contabili e i dati strutturali dell'azienda relativi al periodo d'imposta 1996") è inammissibile.
    H.1. Il ricorrente - il quale scrive nel ricorso di aver proposto appello "lamentando" anche "la congruità dei ricavi dichiarati... con l'applicazione degli studi di settore (GE.RI.CO)" -, invero, denunzia che entrambi i "giudici" del merito "hanno omesso ogni motivazione" sulla "congruità rinveniente dall'applicazione. degli studi di settore".
    In realtà nella sentenza impugnata non si rinviene nessun cenno nè della sottoposizione (almeno) al giudice di appello della questione concernente detta "congruità" nè dello scrutinio o, ancora, di una qualche decisione (anche implicita), in ordine alla stessa da parte di detto giudice: il silenzio di questi, quindi, non integra affatto (come denunziato) una omissione di ".motivazione", cioè una carenza del giudizio emesso, ma una vera e propria omissione di pronuncia, ovverosia un vizio di attività del giudice.
    Il vizio di "omessa pronuncia", come noto (Cass., 1^, 10 dicembre 2008 n. 28985, da cui gli excerpta, tra le recenti) "implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell'art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 4, e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5".
    Il vizio di "omessa motivazione", invece, "presuppone... l'esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione e va denunciato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 15882/2007)".
    La "decisione del giudice di secondo grado che", come denunziato dal C., "non esamini e non decida un motivo di censura alla sentenza di primo grado", quindi (Cass., 3^, 14 marzo 2006 n. 5444), è "impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame e, quindi, integrando tale vizio un errar in procedendo alla stregua dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 4": conseguentemente "se il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello su una censura prospettala con l'appello (principale od incidentate) viene denunciato", come nel caso, "ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (od anche dell'art. 360 c.p.c., n. 3), anzichè ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 4), in relazione all'art. 112 c.p.c., il motivo è inammissibile (in termini da ultimo Cass. n. 22897 del 2005, fra le tante)".
    H.2. La censura, peraltro, è comunque inammissibile anche perchè il ricorso per cassazione del C., in aperta violazione del principio di autosufficienza desumibile dall'art. 366 c.p.c. (per il n. 3 del quale detto atto processuale deve "contenere", appunto a espressa "pena di inammissibilità", l'"esposizione sommaria dei fatti della causa"), non riporta affatto il concreto (testuale) contenuto della doglianza - in particolare quanto alle reali modalità di sviluppo del confronto - per cui questo giudice di legittimità non è stato posto in condizione di valutare (come necessario) le possibilità del vizio, ove effettivo, di determinare una diversa decisione della controversia.
    Siffatta "esposizione" si rivela indispensabile perchè il ricorrente si è limitato a dire (ma solo nel formulato "quesito") che avrebbe utilizzato ("utilizzando") "idoli contabili e i dati strutturali dell'azienda relativi al periodo d'imposta 1996" senza però precisare, come razionalmente indispensabile, neppure se i "dati" che assume avere utilizzato siano solo gli stessi posti a fondamento dell'accertamento dell'Ufficio e non, invece, unicamente quelli ritenuti da esso contribuente afferenti all'attività di "movimento terra", con esclusione di quelli concernenti la "fantomatica" (secondo la Commissione Tributaria Regionale) attività agricola.
    I. L'infondatezza del sesto motivo di ricorso ("violazione e falsa applicazione" del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 187, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 75 e art. 192 c.p.p.) discende dal principio secondo cui (Cass., trib., 11 settembre 2009 n. 19638) "l'incertezza normativa oggettiva tributaria", che consente di non applicare le sanzioni, "è la situazione giuridica aggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell'azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall'impossibilità, esistente in sè ed accertala dal giudice, d'individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito", quindi in "senso aggettivo" (con conseguente esclusione di "esclusione di qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali" atteso che "l'incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti"): "l'incertezza normativa aggettiva", pertanto, "non ha il suo fondamento nell'ignoranza giustificata, ma nell'impossibilità, abbandonato lo stato d'ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria".
    La stessa, inoltre, postula quale "requisito di ammissibilità" della relativa questione con il "ricorso per cassazione che il ricorrente indichi quali sono i procedimenti d'interpretazione normativa adottati e quali siano le norme contrastanti che ne hanno costituito i risultati" (Cass., trib., 21 marzo 2008 n. 7765).
    Nel caso, il contribuente sì è limitato a richiamare il dato normativo che assume violato (attinente propriamente alla astratta previsione della ipotesi di inapplicabilità delle sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie) ma non ha speso nemmeno una parola per esporre le ragioni (nel senso reso necessario dai richiamati principi) rivelatrici della (asserita) sussistenza, nelle norme concernenti l'applicabilità dei "parametri", delle condizioni giuridiche di incertezza necessarie per l'applicazione delle norme (precipuamente il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8) invocate:
    il contribuente, anzi, ha omesso addirittura di indicare quale sia il punto delle specifiche disposizioni tributarie "sostanziali" ("L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 187") la cui complessiva formulazione impedisca di pervenire ad una "conoscenza sicura" delle stesse ed abbia, quindi, determinato l'inadempimento tributario.
    L. La violazione art. 113 c.p.c. denunziata con l'ultimo motivo di ricorso, infine, è inammissibile per assoluta carenza di interesse (art. 100 c.p.c.) del denunziante: come esposto da questo stesso, infatti, il vizio afferisce alla sentenza di primo grado (la quale, scrive il giudice di appello, ha operato un "abbattimento del 50%" dei ricavi accertati dall'Ufficio nell'atto impositivo impugnato "per non argomentate "ragioni di equità"), ovverosia una decisione priva di qualsivoglia effetto in quanto posta nel nulla dalla contraria sentenza del giudice di appello.
    La "congruità della motivazione della sentenza del giudice di appello", è noto (Cass., 1^, 22 dicembre 2005 n. 28487), "deve essere verificata con esclusivo riguardo alle questioni che sono state sottoposte al medesimo, e dallo stesso risolte per decidere la controversia, restando ad essa dei tutto estranea la decisione eventualmente diversa che sia stata adottata dal giudice di primo grado, interamente travolta ed assorbita da quella emessa, in sua sostituzione, dal giudice di appello il quale compie la valutazione diretta del materiale probatorio messo a disposizione dalle parti, nell'ambito delle questioni sottopostegli dai motivi d'impugnazione, senza obbligo di puntuale confutazione dei singoli punti della sentenza di primo grado (Cass., n. 9670 del 2003; n. 2078 del 1998)". 5. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine al carico delle spese processuali del giudizio di legittimità non avendo l'Agenzia intimata svolto valida attività difensiva: il controricorso di tal parte, infatti, risulta notificato oltre il termine di cui agli artt. 369 e 370 c.p.c. e la stessa non ha svolto difese orali.
    P.Q.M.
    La Corte rigetta il ricorso.

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