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Il fisco soffoca l'industria. In Italia tax rate al 48% contro il 26% circa di Spagna e Germania
La virtù sta nel mezzo. In chi, non essendo né troppo piccolo né troppo grande, è in grado di creare ricchezza, innovazione e tenere botta alla crisi: la media impresa, sia essa italiana, tedesca o spagnola. Presentato ieri a Milano come una prima assoluta a livello internazionale, il rapporto di Confindustria, R&S-Mediobanca e Unioncamere sulle "Medie imprese in Europa", un progenitore italico ce l'ha e si chiama Enrico Cuccia. «Gli studi di comparazione internazionale nacquero con lui», ha detto Giorgio La Malfa, presidente di R&S.Un breve amarcord per raccontare il metodo Cuccia, artigianale nella forma, ma efficacissimo e millimetrico nella sostanza perché basato sull'analisi ossessiva dei numeri prodotti dalle più importanti aziende italiane, messi a confronto con quelli dei grandi concorrenti stranieri: «Appuntava tutto a matita, su fogli piccoli, e poi chiedeva di elaborarli. Dal confronto dei dati veniva fuori la diagnosi, poi fondamentale per le decisioni strategiche. Diceva di non essere mai andato a vedere un'azienda, si fidava solo dei numeri».
Gli stessi numeri viaggiano oggi su powerpoint e in multimedialità, ma non hanno cambiato mestiere e significato: fotografano sempre realtà e tipologie. Quelle esaminate ieri riguardano la categoria di società di capitali a controllo autonomo, con un fatturato compreso tra i 13 e i 290 milioni di euro e un numero di dipendenti oscillante tra i 50 e i 499. Medie imprese, insomma, messe a confronto in tre paesi, l'Italia, la Germania e la Spagna. Più delle grandi, dice la ricerca, sanno creare ricchezza, misurata con il Return on investment (Roi) che è un indice di redditività del capitale investito. Meno delle grandi, però, sono capaci di generare profittabilità, il Roe, ritorno sul capitale proprio. Come mai? Il fisco fa la differenza, ha spiegato Gabriele Barbaresco di R&S-Mediobanca, nel senso «che è più pesante a carico delle medie». E proprio dal fisco arrivano le prevedibili note dolenti per le aziende italiane rispetto alle tedesche e alle spagnole che beneficiano di un trattamento fiscale complessivo decisamente più leggero, del 26% circa in entrambi i casi, contro il 48% per le nostre.In tutti e tre i paesi la tipologia produttiva più rappresentativa in relazione al fatturato è il settore meccanico, ma con pesi relativi diversi: in Germania è nettamente preponderante (46,1%); in Italia è importante (34,3%); in Spagna lo è un po' meno (27%). L'Italia registra l'incidenza maggiore nei beni per la persona e per la casa (24,8%), la Spagna nell'alimentare (24,2%). Diverso il senso di appartenenza alle realtà distrettuali, con il 66% delle medie imprese italiane collocate nelle rispettive filiere e il 41% di quelle spagnole, mentre le tedesche, che pure danno vita alla leadership mondiale dell'export, non hanno un sistema di distretti codificato.Alla ricerca hanno contribuito l'Institut für Mittelstandforschung di Bonn, forte di un database di 4mila aziende, e il dipartimento di Economia Financiera y Contabilidad III dell'Università Complutense di Madrid, che ne ha in archivio 1700. La Germania ha il sistema di medie imprese più produttivo, seguita dall'Italia, nonostante debba affrontare il costo del lavoro più pesante fra i tre. Le società spagnole e italiane registrano però una redditività superiore rispetto alla tedesche (si veda l'illustrazione sopra).Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, ha voluto mettere in evidenza un aspetto: «Mi ha colpito soprattutto il dato sul ricorso al debito», dal quale risulta che le imprese più virtuose in questo senso sono in Germania, con debiti finanziari a breve pari al 21,1% del capitale investito rispetto al 22,8% registrato in Spagna e al 34,6% dell'Italia: «Porre troppa enfasi sull'allargamento del credito bancario per aiutare la crescita delle imprese è a mio avviso negativo. Il debito è dannoso perché indebolisce le imprese, soprattutto quando è è eccessivo, e perché le espone all'andamento dei tassi».Secondo Giorgio Squinzi, amministratore unico di Mapei e consigliere delegato di Confindustria per l'Europa, lo studio mostra che le aziende italiane «reggono bene il confronto con quelle tedesche, considerando il contesto più sfavorevole». A capo di un gruppo internazionale da 1,7 miliardi di fatturato che lui stesso definisce come la somma di tante Pmi, Squinzi è più preoccupato dai fattori esterni di freno all'attività economica che non dal costo del lavoro o dall'organizzazione produttiva. A cominciare dalla bolletta energetica, in Italia più cara del 30% rispetto alla media Ue, e dal carico burocratico e amministrativo che in Italia si manifesta spesso con accanimento quasi terapeutico.A livello geografico, la maggior concentrazione di medie imprese in Italia si registra nel Nord-Ovest (40% del totale) e nel Nord-Est (37%), in Spagna il catalizzatore è nel Nord/Nord-Est (50%) con densità importanti soprattutto in Catalogna e nei Paesi Baschi. In Germania le regioni del Sud (38%) e dell'Ovest (36%) fanno la parte del leone, in particolare Nord Reno-Vestfalia e Baden Württemberg.
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-12-01/fisco-soffoca-industria-064000.shtml?uuid=AYWQS8nC


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