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Banca Meridionale: sesso, cocaina, usura Ecco dove finirono i soldi di Cacciapuoti
Se la prende con i suoi ex compagni di avventura e li mette in fila uno dopo l’altro. Fa nomi e cognomi, una cinquantina in tutto, svela aneddoti e misfatti, raccontando la storia di un crac finanziario per il quale resta l’unico indiziato. Tono bonario, strategia accusatoria ma non troppo, parla Raffaele Cacciapuoti, principe di Montebello, che mette in mezzo amici, soci, professionisti napoletani. Un lungo racconto che spiega in parte come sono finiti i milioni della mai nata banca popolare meridionale, a partire dalle spese «scriteriate» di un ex «collega» che avrebbe fatto man bassa dei risparmi raccolti con l’acquisto di cocaina e macchine di lusso. Cinquantuno pagine, un memoriale spedito in Procura a Napoli dove è in corso l’inchiesta sulla presunta sottrazione di otto milioni di euro, capitale della Banca popolare del Meridione.
La bella vita. Le accuse di Cacciapuoti colpiscono un sedicente imprenditore napoletano, che avrebbe avuto libero accesso ai fondi raccolti per le sottoscrizioni di 842 aspiranti soci della banca mai nata: «Scopro con grande sorpresa ed amarezza - spiega Cacciapuoti agli inquirenti - che grazie alla mole di soldi per incanto piovuta nelle sue tasche, ”omissis” aveva incominciato a frequentare i locali notturni più alla moda d’Italia, Porto Cervo e Desenzano su tutte».
L’usura. Stando al racconto del promotore latitante, sarebbero proprio le «pazzie» del suo ex amico a far entrare nel circuito delle sottoscrizioni alcuni usurai, pronti a mettere le mani sul flusso di denaro «reale» che entrava nelle casse di via Santa Brigida. «Non sono stato l’unico ad operare su quel conto corrente - spiega nel suo memoriale - c’è stato ”omissis” che ha fatto uso di massicce dosi di cocaina, preso da un delirio di onnipotenza raccoglieva soldi all’impazzata, anche da usurai, che non aspettavano altro per entrare nel mio progetto e comincia a promettere posti chiave nella futura banca, oltre a mettere sempre più spesso le mani nelle casse». Dunque: «In quel periodo non sono stato l’unico ad operare sul conto corrente». È a questo punto che Cacciapuoti fa i nomi anche di alcuni usurai, qualcuno di Chiaia - riconosciuto con il soprannome di «King Kong» - qualcun altro di Ercolano...
Fonte: http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=131421&sez=NAPOLI
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