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  • Napoli, picchiatori incappucciati su ordine del boss: botte ai commercianti per il pizzo

    Li definisce «incappucciati» o quelli che la notte scendono per strada con i «cappucci in testa». Non trova altre espressioni, quando inizia a raccontare ruolo e gesta criminali di una banda che da qualche tempo imperversa in una larga fetta di territorio metropolitano. 
    Bagnoli, una parte di Fuorigrotta, Agnano. A fare luce sull’ultima moda in materia di estorsione è un ex affiliato ai D’Ausilio, uno che da mesi riempie verbali destinati a rafforzare indagini della Dda di Napoli. Tecnicamente - spiega il pentito - si tratta di picchiatori, mazzieri, gente violenta, che agisce su precisi mandati criminali. Hanno un compito: picchiare, indimidire, fare danni. 
    E lo fanno su un mandato preciso: impedire denunce e strappare tangenti, senza fare troppo rumore. Testimonianza agli atti di Gaetano Giacobbo, uno che in passato faceva il killer, che racconta l’avvento nel quartiere flegreo della «banda di incappucciati»: «È una strategia con un obiettivo: evitare morti ammazzati, agguati a colpi di arma da fuoco, che fanno scattare inevitabilmente denunce, indagini, blitz e perquisizioni nelle abitazioni dei pregiudicati della zona. Invece, colpire a mani nude o con una mazza da baseball - aggiunge - ti consente di fare male senza avere disturbi, incassare tangenti senza troppi rischi». 
    Accuse depositate di recente agli atti di un processo a carico di quattro presunti estorsori. Decine di omissis, tante pagine bianche, segno di un’inchiesta ancora in corso. Indagine condotta dal pm anticamorra Michele Del Prete, che punta dritto al presunto sistema criminale di Domenico D’Ausilio, un personaggio che negli anni ha quasi sempre collezionato assoluzioni al termine di processi e accertamenti in aula, mai come in questo caso da considerare innocente fino a prova contraria. Si presenta in poche parole: «Prima di andare con i D’Ausilio, ero stato con i Rega di Brusciano. Ero uno che faceva i morti».
    In carcere avvenne il cambio di casacca: «Mi proposi, mi dissero che dovevo fare i morti». Ci sono nomi e simboli di affiliazione nel fascicolo della Dda: «In quel periodo il mio punto di riferimento era Pasquale Quotidiano, alias kalibù, a sua volta legato a D’Ausilio». 
    Non mancano passaggi pulp: «In onore di Quotidiano, mi sono fatto tatuare la parola kalibù sul braccio, ma per questo fui redarguito. Fu lo stesso Quotidiano a mandarmi un’imbasciata dal carcere, con cui mi spiegava che la fede si porta nel cuore, non sul braccio». Parole da verificare, accertamenti in corso. Nomi, delitti, ma anche meccanismi di difesa usati dal presunto clan D’Ausilio: come la decisione di affidare a un insospettabile - un fruttivendolo ambulante - il ruolo di messaggero degli ordini del boss, sempre seguendo la traccia del pentito: «Quello, il fruttivendolo, poteva anche venire da te e dire ora ”devi fare un morto”. Si sapeva che era un ordine della camorra».
    Quanto agli omicidi, invece, il reo confesso non si risparmia, tanto da ricordare una notte passata a girare per Fuorigrotta, Bagnoli e Agnano per una missione di morte fortunatamente andata a vuoto: «Non mi dissero neppure come si chiamava quello che dovevo buttare a terra, neppure mi spiegarono perché doveva essere ammazzato. In tasca avevo un indirizzo, stetti ad aspettare per ore, ma non lo trovai. Eppure ricordo che rimasi sotto la sua abitazione, avevo un’arma, ma quella notte non riuscii ad ammazzarlo». 
    Il resto è storia di pestaggi, è racconto di mazzieri incappucciati, volto travisato e mazze da baseball a portata di mano. Tanto che per essere chiaro, il potenziale teste d’accusa fa riferimento anche a un assalto agli uffici della Asìa, dove lavorava uno dei presunti estorsori del clan D’Ausilio, tale Roberto Tripodi. È ancora Gaetano Giacobbo a insistere: «Lavorava nella Asìa e siccome aveva orari fissi, decise di licenziarsi, perché era facilmente localizzabile, temeva di essere ammazzato da un clan rivale». 
    Storie da passare al vaglio investigativo, in un processo con quattro imputati (difesi, tra gli altri, dai penalisti Riccardo Ferone e Carmine Galloro) colti sul fatto un anno e mezzo fa mentre taglieggiavano un imprenditore edile. Gira e rigira, il discorso del pentito è sempre lo stesso: «Qua, nella zona, le tangenti le pagano tutti e il sistema usato è quello che vi ho spiegato». 
    Niente omicidi - farebbero troppo rumore - basta mandare in strada quelli con le mazze da baseball, magari con un ordine filtrato da un camorrista travestito da fruttivendolo.

    Fonte: http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=127718&sez=NAPOLI

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