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Compensi agli amministratori indeducibili
Fonte: http://www.altalex.comPer la Cassazione il «vecchio» TUIR non consentiva la deducibilità dei compensi erogati agli amministratori dalle società di capitali.
Il tema della deducibilità dei compensi degli amministratori rappresenta sicuramente uno tra quelli più dibattuti in sede giurisprudenziale.La sentenza della Corte di Cassazione del 13 agosto 2010, n. 18702, in particolare, si è concentrata sull’interpretazione dell’art. 62 del c.d. “vecchio” TUIR (in vigore fino al 31 dicembre 2003) in relazione alla deducibilità dei compensi erogati all’Amministratore Unico oppure al Consiglio di Amministrazione da parte delle società di capitali.
Secondo la Corte, il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’articolo citato “esclude l’ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone” e, allo stesso tempo, “non consente di dedurre dall’imponibile il compenso per il lavoro prestato e l’opera svolta dall’amministratore di società di capitali: la posizione di quest’ultimo è infatti equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell’imprenditore individuale, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l’assoggettamento all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione”.L’orientamento sopracitato non rappresenta una novità assoluta: infatti, esso ricalca quanto già affermato nella precedente sentenza 13 novembre 2006, n. 24188.La Corte commenta la disciplina in vigore fino al 2003.Tale impostazione, è bene ricordarlo, è applicabile al disposto del “vecchio” art. 62 del TUIR. Infatti, l’attuale impianto normativo si mostra cristallino sul tema, prevedendo un’apposita disposizione all’art. 95 comma 5 del TUIR (non presente fino al 2004) che ammette esplicitamente la deducibilità dei compensi erogati agliamministratori dei soggetti IRES. In merito, si pone quale unica condizione (di carattere antielusivo) la “deducibilità per cassa” dei medesimi.Tuttavia, tornando all’impianto normativo previgente, l’impostazione assunta dalla Suprema Corte suscita forti perplessità.In primo luogo, occorre segnalare che secondo la dottrina è sempre stato pacifico che l’art. 62 comma 3 del “vecchio” TUIR, anche se riferito alla deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori della società in nome collettivo e in accomandita semplice, potesse essere riferito anche ai soggetti IRPEG. Ciò in dipendenza del richiamo operato dall’art. 95 comma 1 del “vecchio” TUIR che consentiva di applicare la disciplina relativa alla determinazione del reddito d’impresa delle società di persone anche alle società di capitali.Si segnala, poi, che con la ris. 27 maggio 2002, n. 158 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’art. 62 comma 2 citato, riguardante l’indeducibilità dei compensi per il lavoro prestato dall’imprenditore, si rivolge “al solo imprenditore individuale/persona fisica e non anche all’impresa esercitata in forma collettiva”. Sempre in tale intervento, l’Amministrazione finanziaria rileva che “non vi è motivo per escludere la deducibilità dei compensi per il lavoro prestato dal socio a favore della società di persone, considerata la posizione di alterità soggettiva in cui si trova quest’ultima rispetto al socio stesso e che viene assolutamente a mancare, invece, nell’impresa individuale”.La tesi dell’Agenzia delle Entrate, quindi, sembra presentarsi opposta a quella sostenuta dalla Corte di Cassazione. L’Amministrazione evidenzia, infatti, richiamando la precedente RM 26 giugno 1979, prot. 876, che il principio è tanto più evidente“nel caso di una società di capitali che, essendo soggetto giuridicamente e tributariamente autonomo rispetto ai soci che vantano quote di partecipazione al suo capitale sociale, si trova nella condizione oggettiva di soggetto-terzo che, come tale, può richiedere prestazioni tecnico-professionali ai propri soci”.
(Altalex, 7 ottobre 2010. Nota di Angelo Saitta)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONESEZIONE TRIBUTARIAOrdinanza 13 agosto 2010, n. 18702
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall'art. 380- ter, nei termini che di seguito si trascrivono:"L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto il ricorso della società contribuente contro un avviso di accertamento per IRPEG, IVA E IRAP. La società resiste con controricorso.Il ricorso contiene due motivi. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza del primo motivo, assorbito il secondo, alla stregua delle considerazioni che seguono:Si controverte esclusivamente in ordine alla deducibilità del compensi agli amministratori di società di capitali. Il giudice tributario - accogliendo la tesi della società - ha affermato che detti compensi sono deducibili nell'anno, pur successivo a quello di erogazione, in cui sia intervenuta la delibera ex art. 2389 c.c. mentre l'Agenzia, in base al disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 62, sostiene che essi non siano nella specie deducibili.Il mezzo è manifestamente fondato, pur se per motivi non coincidenti con quelli sviluppati dalla ricorrente.Questa Corte ha infatti affermato che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62, il quale esclude l'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore di società di capitali: la posizione di quest'ultimo è infatti equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l'assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione (Cass. 24188/06).La sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto la deducibilità del relativo costo, è dunque ispirata ad un erroneo principio di diritto, non perchè i compensi degli amministratori di società di capitali siano deducibili nel solo anno in cui sono corrisposti, ma perchè non sono affatto deducibili";che la controricorrente ha depositato una memoria, contestando la possibilità di decidere la causa sulla base di una questione non dedotta e comunque censurando, nel merito, il contenuto della relazione;che il collegio condivide la proposta del relatore; che, quanto alla ritenuta novità dell'interpretazione, su cui la relazione si fonda, è decisivo il rilievo che essa non si basa su una quest'io fatti non esaminata nei gradi di merito, bensì sull'interpretazione della norma della cui applicazione pacificamente si controverte m giudizio, cosicchè deve escludersi che si tratti di questione rilevata d'ufficio;che, d'altro canto, la circostanza che tale interpretazione non sia stata mai dedotta dall'Ufficio, segnatamente in sede di accertamento, non appare vincolante per questo Giudice, alla luce di quanto dedotto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30055/08, secondo cui "affermare, infatti, che nel giudizio tributario l'amministrazione finanziaria (e, adesso, l'Agenzia delle Entrate) è attore e che la sua pretesa è quella risultante dall'atto impugnato vuoi dire riconoscere che l'erario aziona una specifica pretesa impositiva - e cioè accerta un determinato debito tributario in capo al contribuente e ne richiede il pagamento - e che il processo che nasce dall'impugnativa dell'atto autoritativo è, si, delimitato nei suoi confini, quanto a petitum e causa petendi, dalla pretesa tributaria, ma solo nel senso che il fondamento e l'entità di questa non possono avere latitudine diversa da quanto dedotto nell'atto impositivo";che, sotto tale profilo, la relazione appare coerente con l'atto impositivo, contenente la ripresa a tassazione dei costi dedotti per i compensi agli amministratori;che, nel mento, appare irrilevante la circostanza che, nella sentenza citata nella relazione, si trattasse del compenso all'amministratore unico e non (come nella specie) ai componenti del consiglio di amministrazione, identica essendo nei due casi la problematica di fondo;che pertanto, accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata;che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo;che, attese le ragioni della decisione, appare equo disporre l'integrale compensazione delle spese del giudizio.P.Q.M.la Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese dell'intero giudizio.


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