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Impiego di minori nell'accattonaggio: nuova norma, successione di leggi nel tempo
Cassazione penale , sez. I, sentenza 22.06.2010 n° 23869
La Suprema Corte risolve, con la sentenza 22 giugno 2010, n. 23869, attraverso una procedimento esegetico del tutto ineccepibile, una questione insorta nell'interpretazione delle modifiche normative intervenute a seguito della promulgazione della L. 15 Luglio 2009, n. 94.Oltre ad un profilo strettamente procedimentale – concernente la non riconducibilità dell'ipotesi di abrogazione di norme penali alla previsione dell'art. 129 co. 1 c.p.p. - la sentenza affronta un tema particolarmente importante di diritto sostanziale.Il giudice di merito aveva, infatti, fornito un'interpretazione parziale ed impropria dell'art. 3 della ricordata legge, rilevando solo l'abrogazione dell'art. 671 c.p. e concludendo per l'assoluzione dell'imputata con la formula “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.Come accennato, sotto un profilo squisitamente processuale, la pronunziata sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., non era meritevole di apprezzamento, in quanto essa, di natura esclusivamente predibattimentale, conseguiva – quindi - all’omessa, quanto ingiustificata, celebrazione del dibattimento.La scelta adottata dal giudice di merito, infatti, è apparsa ictu oculi del tutto irrituale, perché la decisione intervenuta non poteva venire - metodologicamente - ricompresa nella categoria che attiene all’improcedibilità dell’azione od all’estinzione del reato.La ablazione del contraddittorio, quindi, si rivelava difetto che inficiava in radice la decisione impugnata.Sul piano puramente sostanziale, la erroneità del giudizio è risultata ancor più spiccata.Va, infatti, notato, che, in realtà, la sentenza riformata dal S.C., non ha affatto considerato che la scelta legislativa di carattere radicalmente ablativo, concernente l’art. 671 c.p., veniva, contestualmente, compensata dall'introduzione nel tessuto del codice materiale dell'art. 600 octies c.p..Questa ultima norma, non poteva (né avrebbe dovuto) passare inosservata per due principali ordini di motivi.In primo luogo, si nota un rilievo di particolare evidenza, che consiste nel ricorso alla medesima indicazione e configurazione dell'ipotesi di reato abrogata e cioè “Impiego di minori nell'accattonaggio”.E' di tutta evidenza, quindi, che la fattispecie in parola costituisca esempio di sostituzione di una norma pregressa con altra nuova e che, come si vedrà vada applicata il principio della successione delle leggi nel tempo di cui all’art. 2 c.p..La nuova dizione normativa appare, quindi, espressa manifestazione della volontà del legislatore di disciplinare, in termini più rigorosi e severi la medesima materia (nel caso lo sfruttamento dei minori).Conferme in tal senso provengono, sul piano giuridico-lessicale, dalla presenza e dalla utilizzazione delle medesime condizioni di punibilità - ad esempio l’autorità, la custodia o la vigilanza, condizioni, peraltro, già previste nell’abrogato art. 671 c.p. -.In secondo luogo, si deve considerare che l'art. 600 octies c.p. costituisce sicuramente lo strumento per addivenire alla trasformazione dell'originario reato contravvenzionale in delitto.Questa scelta – recettiva l’elaborazione ed evoluzione del giudizio di gravità della condotta in questione – presuppone ovviamente, dunque, un giudizio di maggiore spessore della rilevanza penale delle condotte così individuate (che possono essere anche di natura omissiva), nonchè il riconoscimento di un allarme sociale correlato alle stesse.Tali premesse si pongono, pertanto come fattori necessariamente prodromici per la traslazione del reato in questione dalla originaria categoria contravvenzionale a quella delittuosa.Il denunziato errore del primo giudice appare, dunque, piuttosto evidente e viene puntualmente sottolineato dall'esegesi offerta dal collegio di legittimità.L’aggravamento delle sanzioni, ma solo nel massimo edittale, (giacchè si passa da una pena dell’arresto da tre mesi ad un anno, alla reclusione fino a tre anni) e nella specie di pena inflitta (l’arresto diviene reclusione), sta, quindi, ad indicare la indicata contestuale operazione di sostituzione delle due norme, sicché il nuovo art. 600 octies c.p. diviene forma di evoluta continuità rispetto all’abrogato art. 671 c.p..La Corte opera, inoltre, un richiamo ad un presunto ampliamento dei soggetti cui la disposizione si verrebbe ad indirizzare.L’esame comparato dei due testi non pare confermare questo assunto, posto che i soggetti che possono essere attinti dall’ipotizzato reato sono chi eserciti l’autorità o la custodia o la vigilanza sul minore, così come avveniva vigente l’art. 671 c.p..Quanto all’espressione “che altri se ne avvalga per mendicare”, essa si limita ad identificare una condotta puramente omissiva, che consiste nel tollerare che un terzo utilizzi il minore agli scopi di mendicità già descritti, e non allarga certo l’ambito di operatività soggettiva del precetto.Come già rilevato, nel caso di specie, si impone il giudizio di applicabilità dell’art. 2, co. 4 c.p., nel senso che, giusto il disposto della S.C., dovrà essere applicata la norma vigente al tempo in cui fu commesso il reato oggetto di contestazione ed attribuzione all’imputata.
Fonte: Altalex
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