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  • Sclerosi multipla in stadio avanzato: sì alle cure gratuite a base di cannabis Tribunale Avezzano, giudice del lavoro, ordinanza 02.02.2010

    Per la prima in volta, in Italia, il giudice del lavoro del Tribunale di Avezzano, con l’ordinanza 2 febbraio 2010, ha dato il via libera temporaneo alle cure a base di cannabis, autorizzando la somministrazione di cannabinoidi, per il periodo di un anno, nei confronti di un paziente affetto da sclerosi multipla allo stadio avanzato.

    Il caso

    Tizio, affetto da sclerosi multipla, con un quadro di tetraparesi paraparesi spastica associata a dolore, gravi disturbi sfinterici, disfagia, dolore neuropatico e spasticità resistente alle convenzionali terapie antispastiche, ottiene dal medico Caia, specialista neurologa e dirigente di day hospital, la somministrazione di un prodotto a base di cannabis (Bedrocan), non liberamente commercializzato nel nostro Paese, ma reperibile in Olanda, quale unico medicinale in grado di alleviare i disturbi di cui sopra.

    La somministrazione del farmaco è possibile solo nel rispetto di alcune condizioni: a) essa deve avvenire in ambito ospedaliero; b) è possibile solo per un lasso di tempo limitato; c) il costo deve essere sostenuto direttamente dal paziente, e non dal Servizio Sanitario Nazionale, potendo l’Asl attivarsi solo per richiederne l’importazione.

    Il costo della specialità medicinale si rivela, ben presto, troppo alto per il tenore di vita del paziente, in quanto semplice pensionato e la somministrazione in regime ospedaliero diviene eccessivamente gravosa in quanto trattasi di farmaco la cui assunzione deve essere ripetuta quotidianamente e non in un’unica dose giornaliera.

    Per tali motivi, Tizio ricorre in giudizio ritenendo di aver diritto alla somministrazione gratuita del farmaco, in base al principio costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e dell’uguaglianza sostanziale, di cui all’articolo 3 della nostra Carta fondamentale.

    Il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute

    Il diritto alla salute è garantito ad ogni persona quale diritto costituzionalmente condizionato dall’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti.

    Appare evidente, però, che, come evidenziato dalla giurisprudenza, non è possibile porre sullo stesso piano il diritto intangibile e primario alla vita e alla salute, che si realizza anche attraverso la somministrazione di terapie adeguate e preservanti, e che trova la sua diretta tutela nel disposto dell’articolo 32 Costituzione, il cui carattere precettivo lo rende immediatamente applicabile dal giudice, e l’interesse alla preservazione delle risorse finanziarie dello Stato, che, comunque lo si consideri, assume connotazioni essenzialmente economiche.

    Sempre secondo il giudice sussiste il requisito del periculum in mora, richiesto dall’articolo 700 c.p.c., quale pregiudizio imminente e irreparabile alla salute, se si considera come le condizioni del paziente potrebbero essere pregiudicate dal tempo che occorre per instaurare un giudizio ordinario, in considerazione della gravità della patologia diagnosticata e della sua progressiva evoluzione in senso peggiorativo. Inoltre, l’elevato costo della cura richiesta è tale da non consentire al malato di affrontare la spesa necessaria per l’acquisto degli unici medicinali efficaci senza compromettere la possibilità di soddisfare le altre minime esigenze di vita.

    Continua il giudice territoriale “Sebbene dunque la Pa sia titolare di un potere autorizzativo discrezionale nel valutare sia le esigenze sanitarie di chi richiede una prestazione al Servizio sanitario nazionale, sia il rapporto costi-benefici che tale richiesta comporta, nelle ipotesi nelle quali sia indubbia l’esistenza di una situazione di urgenza, con rischio irreversibile per la salute del cittadino superabile con cure tempestive non fornite dal servizio pubblico, tale esigenza fondamentale, che trova la sua derivazione nella Costituzione e non in leggi ordinarie, prevale sulle esigenze economiche della Pa, alla quale non può riconoscersi, per la tutela di questi interessi subordinati, un potere di affievolimento della preminente posizione soggettiva”.

    In definitiva, si legge nel provvedimento, il problema è quello di garantire al cittadino la tutela richiesta facendo diretta applicazione dell’articolo 32 della Carta fondamentale fornendo al medesimo le cure in grado di alleviare la progressione della malattia, attraverso la somministrazione di farmaci di comprovata efficacia ma non commercializzati in Italia.

    Per concludere, si deve ritenere che la pretesa del singolo ad avvalersi della somministrazione a spese del Servizio Sanitario Nazionale, per la cura di patologie particolarmente gravi, possa subire limitazioni solo nel caso in cui esistano, in commercio, all’interno del territorio nazionale, valide alternative terapeutiche. In caso contrario, come nella fattispecie, tale pretesa non può essere sottoposta ad alcun limite sempre che, com’è ovvio, il medicinale sia stato ufficialmente sottoposto alle adeguate sperimentazioni allo scopo di valutarne gli effetti e la tollerabilità.

    Tribunale di Avezzano

    Ufficio del giudice del lavoro

    Ordinanza 1-2 febbraio 2010

    (Giudice Pierazzi)

    Osserva

    1. Il ricorrente deduce di essere affetto da “sclerosi multipla” con un quadro di tetraparesi paraparesi spastica associata a dolore, gravi disturbi sfinterici, disfagia specie per i liquidi, dolore neuropatico e da spasticità resistente alle terapie convenzionali antalgiche, antispastiche e per il controllo sfinterico. La malattia, che impone tra le altre cose l’utilizzo della carrozzina e di presidi esterni contro l’incontinenza, presenta un andamento costantemente e velocemente ingravescente.

    A fronte di tali gravissime condizioni, il medico curante dr. A. L., specialista neurologa e dirigente del day hospital per la sclerosi multipla presso la ASL di ****, nonché responsabile dell’ambulatorio per la diagnosi e cura della sclerosi multipla della Clinica neurologica **** e del laboratorio di neuroimmunologia ****, ha indicato come essendo il ricorrente refrattario alle terapie tradizionali sia nel suo caso unicamente indicata la somministrazione terapeutica di prodotti a base di cannabis, tra i quali il Bedrocan, non liberamente commercializzato nel nostro paese ma reperibile in Olanda, nella dose di 3g/die.

    La richiesta di importazione del preparato è stata avanzata il 15.9.09 dalla farmacia Ospedaliera della ASL ****, ma la sua somministrazione gratuita è possibile, come sottolineato dalla stessa Asl convenuta, soltanto in ambito ospedaliero, e dunque in regime di day hospital; inoltre, essa sarebbe possibile solo per un lasso di tempo limitato, in quanto il DM 11.2.97, che disciplina l’importazione dall’estero di specialità medicinali non commercializzate in Italia, non riguarderebbe esigenze croniche ma soltanto la somministrazione di farmaci “una tantum”.

    In questo senso, dunque, in applicazione della normativa vigente, la Asl potrebbe soltanto attivarsi per richiedere l’importazione del medicinale, ma questo andrebbe acquistato a spese del paziente. Il costo della specialità, poi, è di circa euro 900,00 mensili, come documentato dal ricorrente, che ha anche documentato di percepire soltanto una pensione dell’ammontare di poco più di euro 1000,00 al mese, e di non potere quindi sostenere tali oneri. Peraltro, anche la somministrazione in regime di day hospital sarebbe sostanzialmente impossibile, trattandosi di farmaco da assumere quotidianamente e non in unica dose giornaliera.

    2. Quanto al requisito del periculum in mora, inteso quale pregiudizio imminente ed irreparabile alla salute, esso è senz’altro configurabile, in quanto risulta dagli atti che le condizioni di salute dell’istante non potrebbero non essere pregiudicate dal decorso del tempo occorrente ad instaurare un giudizio ordinario, in considerazione della gravità della patologia diagnosticata e della sua progressiva evoluzione peggiorativa, cosi come adeguatamente documentato dai certificati medici in atti; inoltre, l’elevato costo della cura richiesta è tale da non consentire al ricorrente di affrontare, trattandosi peraltro di patologia cronica, la spesa necessaria per l’acquisto dei suddetti medicinali senza compromettere la possibilità di soddisfare le altre minime esigenze di vita.

    3. Sotto il profilo del fumus, si rileva quanto segue.

    Il ricorrente non ha chiaramente indicato quale sia la normativa in base alla quale egli avrebbe diritto alla somministrazione gratuita del Bedrocan, richiamandosi in effetti al principio costituzionale del diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione, e della uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3.

    3.a In realtà, diverse sono le strade attraverso le quali è consentito l’utilizzo in Italia di medicinali commercializzati all’estero ma non ancora liberamente autorizzati all’immissione in commercio nel nostro Paese. Ai sensi del DM 11.2.97, e successive modifiche, l’Ufficio centrale stupefacenti può rilasciare l’autorizzazione per l’importazione di medicinali stupefacenti registrati nel paese di provenienza e privi di autorizzazione all’immissione in commercio in Italia. Questa è la strada che è stata seguita nel settembre scorso dalla Farmacia Ospedaliera della ASL convenuta; in questo caso, tuttavia, come previsto dall’art. 5 del DM citato, il costo della specialità grava sul paziente, a meno che il farmaco non venga richiesto per uso in ambito ospedaliero.

    3.b Un’altra possibilità è quella della somministrazione ad uso compassionevole del medicinale richiesto, a norma del DM 8.5.03. L’art. 1 di tale DM (che si occupa dell’uso terapeutico di medicinali sottoposti a sperimentazione clinica), prevede che il Ministero della Salute possa rilasciare l’autorizzazione al cd. uso compassionevole (ovverosia all’uso “al di fuori della sperimentazione”) di un medicinale “sottoposto a sperimentazione clinica sul territorio nazionale o in Paese estero ... quando non esista valida alternativa terapeutica al trattamento di patologie gravi o di malattie rare o di condizioni di malattia che pongono il paziente in pericolo di vita”, nonché qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 2 del medesimo decreto, ovverosia: a) che si tratti di un medicinale “già oggetto, nella medesima specifica indicazione terapeutica, di studi clinici sperimentali, in corso o conclusi, di fase terza o, in casi particolari di condizioni di malattia che pongano il paziente in pericolo di vita, di studi clinici già conclusi di fase seconda”; b) che “i dati disponibili sulle sperimentazioni di cui alla lettera a) siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio sull’efficacia e la tollerabilità del medicinale richiesto”.

    Tuttavia il suddetto decreto, che è stato emanato allo scopo di “adottare procedure che garantiscono al paziente l’accesso a terapie farmacologiche sperimentali e di fornire indicazioni relative all’uso dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica” (preambolo), per il suo dettato non pare riguardare i casi in cui il SSN possa essere tenuto a farsi carico del prezzo di un farmaco che sia necessario in quanto “non esista valida alternativa terapeutica al trattamento di patologie gravi, o di malattie rare o di condizioni di malattia che pongono il paziente in pericolo di vita”.

    La citata normativa infatti prevede che il medicinale sia richiesto direttamente all’impresa produttrice e “fornito gratuitamente” dalla stessa (cfr. art. 4, co. 2), non potendo, dunque, essere “sovvenzionato” dall’Amministrazione (cosi che non pare che detto decreto possa riguardare l’oggetto del ricorso) e viene, poi, per il resto, solo a regolare le condizioni per l’eventuale fornitura ed ingresso del farmaco, privo dell’autorizzazione di cui all’art. 8 del decreto legislativo del 29 maggio 1991, n. 178, presso gli uffici doganali preposti.

    Peraltro, che le procedure previste dal DM 8.5.03 fossero dettate solo in via provvisoria, emerge dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, che al comma 10 dell’art. 158 prevedeva che entro 120 giorni dalla sua entrata in vigore il ministro della salute, con proprio decreto, tenuto conto anche delle linee guida EMEA per l’uso compassionevole dei medicinali, avrebbe stabiliti “i criteri e le modalità per l’uso di medicinali privi di AIC in Italia, incluso l’utilizzo al di fuori del riassunto delle caratteristiche del prodotto autorizzato nel paese di provenienza e l’uso compassionevole di medicinali non ancora registrati. Fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto ministeriale, resta in vigore il decreto ministeriale B maggio 2003. pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 173 del 28 luglio 2003”.

    Tale decreto non è stato pero mai adottato, e dunque rimane in vigore, con tutte le sue incertezze procedimentali, la normativa citata.

    3.c Il D.Lgs. 178/91 e la L. 648/96 invece prevedono, recependo regolamenti comunitari, una dettagliata disciplina autorizzativa dell’utilizzo dei farmaci prodotti all’estero, e l’istituzione di uno specifico elenco di “medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica, e di medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata”.

    Il decreto legislativo n. 178 del 29 maggio 1991, recante “Recepimento delle direttive della Comunità economica europea in materia di specialità medicinali”, prevede all’art. 8 che “nessuna specialità medicinale può essere immessa in commercio senza aver ottenuto un’autorizzazione dal Ministero della Sanità o un’autorizzazione comunitaria a norma del Regolamento (CEE) n. 2309/93 del Consiglio, del 22 luglio 1993”; quindi, passa a disciplinare le modalità, i presupposti e le informazioni necessarie per il rilascio dell’autorizzazione. L’art. 1, comma 4° del d.l. 21,10.1996 n. 536, convertito in L. 23-12.1996 n. 648, prevede poi che, “qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale, a partire dal 1 gennaio 1997, i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e i medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente adornato dalla Commissione Unica del Farmaco (oggi Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA: n.d.r.), conformemente alle procedure ed ai criteri adottati dalla stessa. L’onere derivante dal presente comma, quantificato in lire 30 miliardi per anno, resta a carico del servizio sanitario nazionale nell’ambito del tetto di spesa programmato per l’assistenza farmaceutica”.

    L’art. 2 c. 349 della legge 244/07 (Legge Finanziaria 2008) ha poi previsto che “ai fini della decisione da assumere ai sensi dell’art. 1 c. 4 del DL 536/96 ... la commissione tecnico scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco, subentrata nelle competenze della Commissione Unica del Farmaco, valuta, oltre ai profili di sicurezza, la presumibile efficacia del medicinale sulla base dei dati disponibili delle sperimentazioni cliniche, già concluse, almeno di fase seconda”.

    Inoltre, il DL 269/03 ha anche istituito un fondo statale, finanziato dalle case farmaceutiche e gestito dall’AIFA, la cui metà è destinata all’approvvigionamento di farmaci per malattie rare o di medicinali che “rappresentano una speranza di cura, in attesa della commercializzazione, per particolari e gravi patologie”.

    Già esisteva poi la norma introdotta con il D.L. n. 463 del 1983, che all’art. 10, comma 2, convertito in L. n. 638 del 1983, recita: “Nel prontuario terapeutico del Servizio Sanitario Nazionale deve essere previsto apposito elenco di farmaci destinati al trattamento delle situazioni patologiche di urgenza, dello malattie ad alto rischio, delle gravi condizioni o sindromi morbose che esigono terapia di lunga durata, nonché alle cure necessarie per assicurare la sopravvivenza nella malattie croniche, per i quali non è dovuta alcuna quota di partecipazione”.

    4. La giurisprudenza, chiamata più volte ad occuparsi della applicazione pratica di tali norme in casi analoghi a quello oggetto del presente ricorso, relativi alla richiesta di erogazione di farmaci non compresi negli elenchi di cui sopra, ha seguito due diversi orientamenti, l’ultimo dei quali è quello del bilanciamento dei diversi principi costituzionali sottesi alla materia, nel senso che “il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è garantito ad ogni persona come un diritto costituzionalmente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, e quindi legittimamente si realizza la gradualità imposta, fra l’altro, dalle disponibilità di risorse organizzative e finanziarie”, osservando “che il giudice ordinario può sindacare i vizi di legittimità del provvedimento - compreso quello di eccesso di potere - ma non può censurare e riesaminare le valutazioni di merito riservate all’amministrazione, tra le quali rientra il giudizio riservato agli organi investiti della funzione di concreta realizzazione di livelli di assistenza farmaceutica non solo adeguati alle necessità terapeutiche ma anche coerenti col quadro delle compatibilità generali (Cass. n. 6598/05, poi ripresa più volte fino a Sez. L. n. 12365/07 con riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale n. 455/90, 218/94 ecc.).

    Poi, la stessa Corte ha precisato che, nella materia in esame, in linea con l’esposta portata dei sovraordinati precetti costituzionali, “l’interpositio del legislatore ordinario si è realizzata con l’attribuzione alla Pubblica Amministrazione della titolarità di poteri discrezionali in senso proprio (cfr. Corte Cost., sentenze n. 185 del 1998 e n. 188 del 2000; del resto, nel novero delle funzioni amministrative costituzionalmente necessarie, C. Cost. 17/1997 esemplifica proprio la regolamentazione e il controllo dei farmaci) e non in senso meramente tecnico, atteso che l’amministrazione stessa è stata chiamata ad operare, attraverso provvedimenti autoritativi di portata generale una sintesi tra valutazioni tecnico-scientifiche ed esigenze della finanza pubblica, come è reso palese dall’art. [****] della legge 24 dicembre 1993, n. 537 ove, da un lato, si demanda (v. in particolare, il comma 11) all’amministrazione stessa di stabilire l’an e il quantum del contributo del servizio sanitario alla spesa per farmaci, nel limite del finanziamento complessivo fissato dalla legge di bilancio, e, dall’altro, si attribuisce alle relative decisioni immediata esecutività”.

    Ne deriva, conseguentemente, l’operatività del principio per cui “il diritto alla somministrazione dei farmaci è attribuito agli utenti del Servizio Sanitario Nazionale dall’art. 8 della legge n. 537 del 1993, commi 9 e ss., con la mediazione del provvedimento, a carattere generale e conformativo - espressione di discrezionalità amministrativa e non meramente tecnica, considerata la valutazione dei rapporto costi-benefici demandata all’amministrazione - dell’organo collegiale del Ministero della Sanità (poi della Salute) denominato “Commissione unica del farmaco”, competente alla formulazione del giudizio circa il carattere essenziale di un farmaco o la sua significativa efficacia terapeutica ai fini nell’inserimento nelle classi a) o b), comportante, rispettivamente, la somministrazione gratuita e il concorso dell’assistito alla metà della spesa, ovvero c), comportante, in linea generale e salva diversa previsione delle normative regionali, l’onere economico a carico dell’assistito”.

    Il che per la Corte equivale a dire che, nel sistema delineato dalla legge, è contemplato un “diritto fondamentale condizionato, ai fini della determinazione dei suoi contenuti, alle scelte del legislatore rispettose del nucleo irriducibile del diritto alla salute”, cosicché “il provvedimento amministrativo a carattere generale può essere disapplicato dal giudice ordinario, ai sensi dell’art. 5 l. 2248/1865, all. E, a tutela del diritto soggettivo alla prestazione dedotto in giudizio, ove risulti affetto da vizi di legittimità, restando preclusa alla giurisdizione (ordinaria come amministrativa) la sostituzione delle valutazioni dell’amministrazione mediante un sindacato non circoscritto alla legittimità. Ne discende che l’errore tecnico, imputato alla Commissione Unica del Farmaco nell’esercizio del potere di classificazione, può essere fatto valere dall’interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell’atto (per il cui accertamento, con particolare riguardo all’eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere, ovvero sotto quello, sintomatico, dell’esattezza materiale di fatti, o dell’errore manifesto di valutazione, potrebbe rendersi indispensabile una consulenza tecnica), ma non direttamente, domandando al giudice che, eventualmente a mezzo di consulente tecnico, operi un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio della CUF” (vedi le già citate Sez. L. nn. 6598/05 e 12365/07).

    5. A tali considerazioni se ne aggiungono tuttavia, nel caso di specie, altre.

    Come infatti ritenuto, anche dopo gli arresti della giurisprudenza di legittimità citati, da autorevole giurisprudenza di merito (cfr. tra le altre Tribunale di Catania 1.12.08, in sede di reclamo su un ricorso ex art. 700 c.p.c.), non possono porsi sullo stesso piano il diritto intangibile e primario alla vita ed alla salute, che si realizza anche attraverso la somministrazione di terapie adeguate e preservanti, e che trova la sua diretta tutela nel disposto dell’art. 32 della Costituzione, il cui carattere precettivo lo rende immediatamente applicabile dal giudice, e l’interesse alla preservazione delle risorse finanziarie dello Stato, che, comunque lo si consideri, assume connotazioni essenzialmente economiche.

    Benché dunque la P.A. sia titolare di un potere autorizzativo discrezionale nel valutare sia le esigenze sanitarie di chi richiede una prestazione al Servizio Sanitario Nazionale, sia il rapporto costi-benefici che tale richiesta comporta, nelle ipotesi nelle quali sia indubbia l’esistenza di una situazione di urgenza, con rischio irreversibile per la salute del cittadino superabile con cure tempestive non fornite dal servizio pubblico, tale esigenza fondamentale, che trova la sua derivazione nella Costituzione e non in leggi ordinarie, prevale sulle esigenze economiche della PA alla quale non può riconoscersi, per la tutela di tali subordinati interessi, un potere di affievolimento della preminente posizione soggettiva individuale.

    Non si tratta dunque, in questo caso, di disapplicare un provvedimento della Amministrazione, ma di garantire al cittadino la tutela richiesta facendo diretta applicazione dell’art. 32 della Costituzione, e dunque, nel concreto, fornendo allo stesso le cure in grado di alleviare la progressione infausta della patologia di affezione, mediate la somministrazione di farmaci di comprovata efficacia ma non commercializzati in Italia.

    Nel quadro normativo di riferimento infatti i presupposti per il ricorso alle modalità di approvvigionamento del farmaco descritti nelle norme citate sono la mancanza di valida alternativa terapeutica, la commercializzazione del farmaco in paesi esteri, e l’inserimento del medicinale negli elenchi predisposti dal CUF. Nel caso che ci occupa sussistono, in base alla documentazione in atti, i primi due presupposti, mentre il Bedrocan non risulta ad oggi ancora inserito negli elenchi in questione. Ma secondo una lettura della norma ordinaria rispettosa del dettato e dei principi costituzionali, deve ritenersi che la pretesa del singolo ad avvalersi della somministrazione a spese del SSN di farmaci non commercializzati nello Stato, per la cura di patologie gravi ed ad esito infausto, possa essere limitato dalla mancata inclusione del farmaco negli elenchi approvati ed aggiornati periodicamente dall’AIFA, ex art. 1 c. 4 DL 536/95, quando esistano in commercio sul territorio nazionale valide alternative terapeutiche; quando, invece, tali alternative non esistano, la pretesa del singolo non può essere assoggettata a tali limiti, sempre che la efficacia e tollerabilità del medicinale richiesto emergano quantomeno da sperimentazioni ufficiali.

    Nel caso di specie, la sicura refrattarietà del D. P. alle terapie classiche, e la conseguente insostituibilità del Bedrocan, è stata reiteratamente certificata dal medico curante, specialista nel settore neurologico e con un curriculum notevole nel campo; inoltre il Bedrocan è una specialità commercializzata in Olanda e con riconosciuta efficacia terapeutica quantomeno nella cura sintomatica della patologia dalla quale è affetto il ricorrente.

    Ancora, l’efficacia terapeutica del medicinale prescritto è stata da tempo riconosciuta anche in Italia, come del resto dimostrato dalla possibilità legale di acquistare il farmaco a spese del paziente, seguendo la procedura disciplinata dal DM 11.2.1997, e come evidenziato anche dalle numerose richieste provenienti dalle ASL di farmaci contenenti il medesimo principio attivo del Bedrocan, alle quali fanno riferimento le note depositate dalla stessa ASL convenuta. Successivamente i principi attivi contenuti nel Bedrocan, ovvero il THC (Delta 9 tetraidrocannabinolo) ed il CBD (cannabidiolo), sono stati inseriti nella tabella II del DPR 309/90, testo Unico sugli Stupefacenti con decreto del Ministero della Salute del 18.4.07, in quanto sostanze con accertata efficacia farmacologica, utilizzabili per terapie mediche.

    Ma del resto già con ordinanza del 13 luglio 2006,il Ministero della Salute si era preoccupato di garantire la possibilità di autorizzare l’importazione di medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo o trans-delta-9-tetraidrocannabinolo anche nelle more dell’inserimento dei principi attivi in questione nella menzionata tabella (che costituisce oggi il fondamento normativo per la futura libera commercializzazione del prodotto), per la somministrazione, a scopo terapeutico, in mancanza di alternative terapeutiche, a pazienti che necessitassero di tali medicinali, “considerato che i medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo e trans-delta-9-tetraidrocannabinolo sono somministrati, come sintomatici, a pazienti affetti da patologie fortemente invalidanti” e “ritenuto di dover continuare a garantire l’approvvigionamento nel territorio nazionale di medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo e trans-delta-9-tetraidrocannabinolo a tutela dei pazienti che dovessero avere bisogno di tali medicinali”).

    Infine, e conclusivamente, la stessa ASL ha fatto richiesta del Bedrocan per il D. P., sulla base delle medesime ragioni terapeutiche addotte dal ricorrente e dal suo medico curante. Non è dunque da porre in dubbio che l’efficacia terapeutica del Bedrocan sia stata ampiamente e risalentemente, per quello che qui occorre, riconosciuta sia in generale che nel caso specifico del D. P.. Per lui, poi, il medicinale rappresenta l’unica possibilità terapeutica, essendo egli risultato refrattario alle diverse terapie previste negli ordinari protocolli medici, che nel suo caso si sono rivelati anche dannosi (vedi documentazione medica in atti).

    Sussistono dunque tutti i presupposti previsti per l’erogazione gratuita a carico del Servizio Sanitario Nazionale, anche dall’art. 1 c. 4 L. n. 648/96, ad eccezione dell’inclusione nell’elenco dell’AIFA; mancata Inclusione che, tuttavia, alla luce di quanto riassunto, non può in alcun modo discendere da una valutazione di inefficacia del principio attivo e dunque del farmaco. E del resto dalla stessa documentazione presentata dalla convenuta ASL risulta che il Ministero della Salute ha richiesto fin dal 2007 all’AIFA di verificare eventuali disponibilità dell’industria farmaceutica a porre in commercio in Italia i medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo e derivati di sintesi o semisintesi; tuttavia non risulta che tali richieste vi siano state. Anche tale mancanza di interesse delle case farmaceutiche, peraltro, si basa su ragioni squisitamente economiche, che come si vede in tale materia assai spesso collidono con il preminente diritto alla salute dei cittadini.

    Ma, nello specifico, non sussiste neppure un problema di maggiori costi della terapia con il Bedrocan rispetto a quella ordinaria. Al contrario, il ricorrente ha dimostrato, quantomeno a livello di fumus, che i costi della terapia con Bedrocan sarebbero notevolmente inferiori a quelli della terapia finora seguita, e che si è rivelata purtroppo per lui inefficace.

    Neppure sotto il profilo delle esigenze del contenimento della spesa, dunque, appare giustificato il rifiuto della amministrazione sanitaria a fornire al ricorrente il medicinale richiesto.

    E dunque, e per tutto quarto si è detto, per consentire la tutela ed il massimo dispiegamento del diritto inviolabile del ricorrente alla vita ed alla salute, occorre riconoscere al sig. D. P., quantomeno sotto il profilo del fumus, il diritto ad ottenere dal SSN, a totale carico di questo, il farmaco che gli assicuri la più ampia e migliore sopravvivenza, o comunque la migliore cura per la malattia dalla quale è affetto; e ciò anche in applicazione diretta della ricordata l. 638/83, che come si è visto recita: “Nel prontuario terapeutico del Servizio Sanitario Nazionale deve essere previsto apposito elenco di farmaci destinati al trattamento delle situazioni patologiche di urgenza, delle malattie ad alto rischio, delle gravi condizioni o sindromi morbose che esigono terapia di lunga durata, nonché alle cure necessarie per assicurare la sopravvivenza nella malattie croniche, per i quali non è dovuta alcuna quota di partecipazione”.

    Si ritiene che allo stato il diritto possa essere assicurato con la provvista di un quantitativo di Bedrocan idoneo a garantire la terapia di gr. 3/die per un anno, quantitativo da fornire mediante consegna al paziente.

    L’obbligo all’acquisto ed alla fornitura del farmaco, poi deve ritenersi gravi sulla ASL presso la quale egli è in carico, quale articolazione territoriale del Servizio Sanitario.

    P.Q.M.

    Ordina alla Azienda Unità Sanitaria Locale ****, in persona del legale rappresentante pro-tempore, di fornire gratuitamente a M. D. P. il farmaco Bedrocan, nella quantità sufficiente a consentire il trattamento per un anno, con la posologia prescritta nelle certificazioni dell’**** della dr. A. L. e del **** del dr. L. D. P., a decorrere dalla data di comunicazione del presente decreto.

    Spese al definitivo.
    Fonte: altalex


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