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  • Contendersi il minore può costare la perdita dello stesso alle famiglie naturali Cassazione civile , sez. I, sentenza 31.03.2010 n° 7961

    E’ adottabile il minore nella ipotesi in cui la famiglia di origine, compresi i nonni, ha conflittuali rapporti tra loro tali da rendere impossibile la cura stessa del bambino.

    Questo è il principio adottato dalla sentenza 31 marzo 2010, n. 7961 della Suprema Corte con cui i giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso avanzato dai nonni paterni contro il provvedimento con cui la loro nipotina di quattro anni era stata dichiarata adottabile.

    La Cassazione chiarisce la legislazione in materia di affido familiare, sancendo che il bene del minore deve venire prima di ogni altra cosa.

    La vicenda oggetto di contestazione risultava essere già abbastanza complicata sin dall’inizio, in quanto la minore (riconosciuta solamente dalla mamma) aveva problemi sia psichici che economici, ed era stata inizialmente affidata alla madre, ricoverata, tra l’altro, in una struttura di recupero.

    La madre abbandonava, però, la comunità di recupero e anche la figlia; in seguito a ciò, quindi, gli assistenti sociali affidavano la minore ai nonni paterni, che, in conflitto sia con la madre che con i nonni materni, non permettevano loro di vedere la bambina; e nemmeno era possibile affidare la minore al padre, in quanto disinteressato e “incapace di assumere il ruolo paterno, restando il rapporto con la figlia marginale e poco significativo”.

    Da una simile situazione derivava, quindi, il collocamento della minore in una comunità con conseguente dichiarazione di adottabilità.

    Secondo quanto ha avuto modo di precisare la Corte nella sentenza in commento, “a prescindere da giudizi di responsabilità e colpevolezza a carico di genitori e parenti, ciò che, in questi casi, deve assumere primaria ed esclusiva rilevanza è l'interesse del minore ad un sano e sereno sviluppo psicofisico.

    Interesse che, valutate la serie di vicende di cui la minore era stata oggetto, richiedeva, nel caso di specie, lo stato di adottabilità.

    Lo stato di abbandono – continua ancora la Suprema Corte - si configura non solo con il rifiuto intenzionale e irrevocabile dei doveri di genitore, ma anche quando le situazioni di fatto, a prescindere dai desideri dei genitori e parenti, impediscano o pongano in pericolo il sano sviluppo psicofisico del minore.

    In base a tali considerazioni, pertanto, i giudici hanno ritenuto sussistente lo stato di adottabilità del minore così come previsto dalla legge 184 del 4 aprile 1983, modificata con legge 149/2001, per cui l’obiettivo è quello di assicurare al minore una famiglia che possa accudirlo nella ipotesi in cui la sua non sia temporaneamente in grado di farlo.

    I giudici di legittimità, quindi, hanno convalidato la sentenza emessa nel febbraio 2009 dalla Corte di Appello, ribadendo, altresì, che l’affidamento non va confuso con l’adozione.

    SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

    SEZIONE I CIVILE

    Sentenza 31 marzo 2010, n. 7961

    Svolgimento del processo

    1.11 tribunale per i minorenni di Torino, con decreto 5 giugno 2007 dichiarava lo stato di adattabilità della minore V.A., nata il **** dall'unione fra V.Y. e L.D.. La minore era stata inizialmente riconosciuta solo dalla madre e il tribunale per i minorenni ne aveva disposto, stante la carenza della situazione familiare, il ricovero insieme alla madre presso una struttura comunitaria. Il ricovero veniva attuato e, dopo risultati iniziali abbastanza positivi, interrottasi la relazione fra i genitori della minore, la madre abbandonava la comunità e tornava dai propri genitori. Il tribunale confermava il ricovero della minore presso la comunità, con la madre o da sola, per il periodo di un anno e rigettava la domanda di affidamento avanzata dal padre. Il tribunale disponeva l'apertura del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità sospendendo la potestà genitoriale, mentre i nonni paterni ed il padre insistevano per l'affidamento della bambina, in una situazione di conflitto fra i genitori della minore ed i rispettivi gruppi familiari. Disposta CTU, questa confermava sostanzialmente l'impossibilità per la minore di essere proficuamente affidata alla madre o ai nonni materni, che non si mostravano a ciò disponibili a differenza di quelli paterni. Veniva disposto un approfondimento della situazione dal quale emergeva la possibilità di un affidamento della minore ai nonni paterni, per cui il tribunale sospendeva la procedura e affidava la bambina ai nonni paterni, disponendo in ordine agli incontri con la madre e i nonni materni. Sorgevano peraltro problemi in ordine a tali incontri, per cui la nonna paterna ne chiedeva l'eliminazione, entrando anche in contrasto con i servizi sociali. Le modalità degli incontri venivano quindi modificati, dal tribunale, mentre gli accertamenti disposti sulle condizioni psicoevolutive della bambina non davano esito positivo. Il tribunale dichiarava allora, con decreto del giugno 2007, lo stato di adottabilità della minore e ne disponeva il collocamento prima presso una struttura comunitaria e poi presso una famiglia affidataria. Avverso il decreto proponevano opposizione i nonni paterni della minore, la madre, il padre, nonchè i nonni materni, contestando l'esistenza dello stato di abbandono. Il tribunale, con sentenza del maggio 2008, rigettava l'opposizione e confermava l'inserimento presso una famiglia affidataria, sospendendo i rapporti con i parenti. Rilevava in particolare, che il padre della minore, L.D., si era rivelato incapace di assumere il ruolo paterno, restando il rapporto con la figlia marginale e poco significativo. Escludeva che i nonni paterni potessero essere affidatari della minore, avendo avuto il relativo esperimento esito negativo, secondo gli accertamenti del CTU, anche in relazione alla loro incapacità di mantenere adeguati rapporti con la madre della bambina, i nonni materni e gli stessi servizi sociali. La sentenza veniva impugnata dai genitori, dai nonni paterni e materni. La Corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 18 febbraio 2009, rigettava l'impugnazione. Avverso la sentenza i nonni paterni, P.P. e L.R., ricorrono con ricorso notificato il 28 marzo 2009. Ricorre con separato ricorso anche il padre della minore L.D.. Il curatore speciale della minore resiste con controricorso notificato il 6 maggio 2009. P.P. e L.R. hanno anche depositato memoria.

    Motivi della decisione

    1. I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

    2.1. Con il primo motivo del ricorso del padre della minore L.D. si denuncia la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8. Si deduce al riguardo che tali articoli privilegiano il diritto del minore di crescere nella sua famiglia naturale, costituendo l'adozione "extrema ratio", potendosi ricorrere ad essa solo al fine di evitargli un pregiudizio grave al corretto sviluppo psicofisico ed ove non sia possibile un recupero delle capacità genitoriali, attraverso un idoneo percorso di sostegno. La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, non avrebbe compiuto l'accertamento di una simile situazione, ma si sarebbe soffermata soprattutto sull'inidoneità a svolgere un ruolo genitoriale da parte della nonna paterna, trascurando la sua figura di padre della minore e le sue capacità genitoriali anche nel loro aspetto potenziale a seguito d'interventi di sostegno.

    Si formula il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se - alla luce della natura derogatoria della L. n. 184 del 1983, art. 8, rispetto all'art. 1 della medesima - in assenza della rigorosa valutazione di tutti gli indici di giudizio indicati dalla giurisprudenza di legittimità, possa dichiararsi sussistente lo stato di abbandono materiale e morale".

    Con il secondo motivo si denunciano la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 17, nonchè vizi motivazionali. Si deduce in proposito che nella sentenza mancherebbero i riscontri oggettivi circa l'inidoneità del ricorrente a svolgere il ruolo paterno, provenendo gli elementi probatori dai quali ciò è stato desunto essenzialmente da dichiarazioni dei genitori del ricorrente, parti in causa a loro volta, da un fraintendimento di dichiarazioni di esso ricorrente, da una CTU, le cui affermazioni si sottopongono a critica, riguardante essenzialmente l'idoneità dei nonni paterni a svolgere il ruolo di affidatari.

    Il ricorso è inammissibile, risolvendosi il primo motivo in una sostanziale censura del merito della decisione adottata ed essendo comunque assorbente la considerazione che esso non è accompagnato da un idoneo quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., non rispondendo quello formulato alla regola enunciata da questa Corte secondo la quale il quesito di diritto deve essere formulato con specifico riferimento alla fattispecie concreta, mettendo in evidenza la "ratio decidendi" desumibile dalla decisione impugnata, le ragioni della sua dedotta erroneità e la diversa regola di diritto che si deduca doversi adottare (ex multis Cass. sez. un. 11 marzo 2008, n. 6420; Cass. 17 luglio 2008, n. 19769; 30 settembre 2008, n. 24339). Il secondo motivo, a sua volta, formulato con riferimento a violazione di legge ed a vizi motivazionali, oltre a investire a sua volta elementi valutativi, non è accompagnato da alcun quesito in relazione alla dedotta violazione di legge nè, per quanto riguarda la censura riferentesi all'art. 360 c.p.c., n. 5, dalla sintesi richiesta dall'art. 366 bis c.p.c., (Cass. sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002; 7 aprile 2008, n.8897).

    3.1. Passando all'esame del ricorso proposto da P.P. e L.R., essi con il primo motivo denunciano la violazione o falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8. Deducono al riguardo che la Corte d'appello, pur avendo interpretato esattamente tali norme - che privilegiano la crescita del minore nella propria famiglia di origine, presso i propri genitori ovvero figure parenterali sostitutive, considerando l'adozione "extrema ratio", quale rimedio al quale è possibile ricorrere solo nel caso in cui il minore versi in stato di abbandono da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi, cioè risulti privo, da parte di costoro, delle cure minime, materiali e psicologiche, necessarie per assicurarne il corretto sviluppo psicofisico - ne avrebbe fatto, nel caso di specie, erronea applicazione. Ciò tenuto conto che lo stato di abbandono non va esaminato in astratto, bensì in base a riscontri obbiettivi circa l'inidoneità delle figure parentali ad assicurare detto corretto sviluppo, che non emergerebbe dalla sentenza impugnata, la quale si baserebbe su mere valutazioni soggettive e indiziarie. I ricorrenti deducono che la Corte ha fondato il proprio convincimento circa la loro inidoneità a prendersi adeguata cura della nipote essenzialmente sulla base dei difficili rapporti fra di essi ed il nucleo familiare materno, conflittualità che nulla ha a che vedere con lo stato di abbandono della minore che giustifica la dichiarazione dello stato di adottabilità. Ciò a prescindere dall'ingiustificata negazione della genuinità delle dichiarazioni delle parti circa il venir meno di tale conflittualità, ricollegata a fatti ormai lontani nel tempo e verosimilmente venuta meno anche per la cessazione della relazione fra i genitori della minore. Si deduce che, comunque, in proposito, stante la rilevanza delle circostanze sopravvenute nel corso del giudizio ai fini della verifica dell'attualità dello "stato di abbandono", la Corte non avrebbe potuto dichiararlo senza idonee verifiche al riguardo. La Corte, inoltre, non avrebbe dato adeguata valenza a tutto ciò che essi ricorrenti avevano fatto per la nipote sin dalla nascita, prima supportando la madre per quanto possibile e poi chiedendone l'affidamento e prendendosene cura con affetto e premura; visitandola costantemente quando era ospitata in comunità.

    La sentenza, infatti, baserebbe la sua motivazione non su riscontri obbiettivi, ma su mere valutazioni soggettive.

    Si formula in proposito il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte, considerata la natura di extrema ratio dello strumento adozionale come previsto dalla L. n. 184 del 1983; considerata altresì la necessità di escludere la sussistenza dello stato di abbandono di cui all'art. 8, di detta legge, laddove la famiglia di origine, tenuto conto delle circostanze modificative intervenute durante il giudizio di opposizione e/o di appello, appaia in grado di offrire un minimo di cure materiali e morali tali da garantire un adeguato sviluppo psicofisico del minore, se lo stato di abbandono di un minore possa e quindi debba escludersi laddove emerga dagli atti di causa la seria disponibilità degli ascendenti (nella fattispecie nonni paterni) a occuparsene e la loro attuale capacità di offrire al minore quel minimo di cure materiali e morali sufficienti a garantirne l'adeguato sviluppo psicofisico, eventualmente facendo ricorso ai sostegni psicologici e sociali opportuni nell'interesse del minore; dica in particolare se lo stato di abbandono di un minore da parte degli ascendenti possa essere dichiarato sulla base di un mero giudizio sui rapporti conflittuali tra i nuclei familiari dei due genitori esistenti in epoca anteriore all'instaurazione della causa. Dica, inoltre, la Corte se sussiste il vizio di violazione della L. n. 184, artt. 1 e 8, laddove l'adozione venga disposta pur in presenza di una famiglia di origine problematica ma senza che tuttavia il minore corra un rischio di danno morale o materiale".

    Il motivo è inammissibile, non rapportandosi alla effettiva "ratio decidendi" della sentenza.

    Va infatti considerato che la "situazione di abbandono" che rende necessaria la dichiarazione di adottabilità, come ha sostanzialmente ritenuto la sentenza impugnata, non consiste soltanto nel rifiuto intenzionale e irrevocabile dell'adempimento dei doveri genitoriali e parentali, ma anche in una situazione di fatto obiettiva che a prescindere dagli intendimenti e desideri dei genitori e parenti, impedisca o ponga in pericolo il sano sviluppo psicofisico del minore, dovendosi prescindere da giudizi di responsabilità e colpevolezza a carico di genitori e parenti e dovendosi invece guardare unicamente alla situazione oggettiva e all'interesse esclusivo del minore.

    In tale ottica la sentenza impugnata ha accertato, in conformità a quanto già fatto nel grado precedente - con giudizio e valutazioni che rientrano nella competenza esclusiva del giudice del merito, incensurabili in questa sede in quanto adeguatamente motivate - la "perdurante incapacità degli appellanti a farsi carico dell'accudimento della piccola A." (pag. 13).

    Con particolare riferimento agli odierni ricorrenti, nonni paterni, la sentenza ha ritenuto - sulla base di una lunga elencazione (pagg. 13 - 18) di fatti obbiettivi che hanno contraddistinto negli anni i rapporti familiari sin dal sorgere della relazione fra i genitori della minore - una non superata e non superabile situazione di conflittualità con la madre della bambina e la sua famiglia, che secondo le emergenze istruttorie si è rivelata dannosa per il suo sereno sviluppo psichico. La sentenza ha specificamente sottolineato (pagg. 17 - 18) l'emersione, nel corso dell'esperito affidamento della minore, a causa di tale intollerabile conflittualità, di una persistente volontà della nonna P.P. d'interrompere ogni rapporto non solo fra la bambina e i nonni materni, ma anche nei confronti della madre, considerando l'affidamento quale un rapporto analogo all'adozione, in un'errata visione del proprio compito e della relazione che la minore avrebbe dovuto conservare con la madre, ritenuta dalla nonna oggettivamente non possibile, in relazione alle profonde diversità fra le rispettive famiglie ed il loro modo di essere e di vivere.

    In relazione a tali emergenze la Corte d'appello ha accertato, sulla base della CTU esperita, conseguenze gravemente negative per la minore, in un contesto valutativo del suo interesse - al quale unicamente deve farsi riferimento, essendo esso prevalente per legge rispetto ai desideri e intendimenti, ancorchè moralmente apprezzabili, degli altri soggetti coinvolti nella vicenda - riservato in via esclusiva al giudice di merito. Il quale ha giudicato (pag. 25) che "l'equilibrio psichico, le esigenze affettive, i bisogni" della minore, sulla base degli elementi emersi "non troverebbero risposta adeguata, come i fatti hanno già confermato, nell'affidamento della bambina ai nonni paterni". E ciò sulla base anche di una serie di circostanze che si riportano specificamente (pag. 25 - 27) a motivazione di detta valutazione conclusiva e di un esame della situazione psicologica della minore (pagg. 28 e 32) che ha fatto ritenere alla Corte, come già al tribunale, che l'interesse della minore ad un sano e sereno sviluppo psicofisico richiedesse la declaratoria dello stato di adottabilità.

    Ne deriva che il motivo formulato si palesa inammissibile, muovendo da presupposti opposti a quelli accertati dalla sentenza impugnata e non censurandone la "ratio decidendi" effettiva.

    3.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, con il quale si denunciano vizi motivazionali, nella sostanza censurando le valutazioni di merito della sentenza impugnata, senza peraltro che il motivo si concluda con la sintesi richiesta dall'art. 366 bis c.p.c. Cass. sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002; 7 aprile 2008, n.8897).

    In relazione alla natura ed alle particolarità della causa si ravvisano giusti motivi per compensare le spese.

    P.Q.M.

    LA CORTE DI CASSAZIONE

    Riuniti i ricorsi li dichiara inammissibili.

    Compensa le spese del giudizio di cassazione.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 febbraio 2010.

    Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010.
    Fonte: altalex


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