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  • Matrimonio sottoposto a condizione: giudice delibazione decide in autonomia

    Cassazione civile , sez. I, sentenza 10.06.2011 n° 12738

    Il giudice della delibazione deve verificare la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità della condizione apposta al matrimonio da parte di uno dei due coniugi, con valutazione autonoma ed assoluto rigore rispetto al giudice ecclesiastico, anche se sulla base dei soli atti del processo canonico eventualmente prodotti, non potendovi essere luogo in tale fase ad alcuna integrazione probatoria.

    E’ questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 12738 del 10 giugno 2011.

    Nel caso affrontato un coniuge promuoveva ricorso avverso la decisione con cui la Corte di Appello di Reggio Calabria aveva dichiarato l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale della Calabria, ratificata dal Tribunale Ecclesiastico d’Appello Campano e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, che aveva dichiarato nullo il matrimonio concordatario contratto dai due coniugi, per accertata esistenza dei condicio de futuro relativa alla residenza familiare. La condizione apposta da un coniuge era conosciuta dall’altro che, tuttavia, si era opposto alla domanda per contrarietà della circostanza all’ordine pubblico interno, avendo chiesto in riconvenzionale l’attribuzione di un assegno di mantenimento. Dall’interrogatorio del coniuge e da una lettera emergeva che lo stesso era perfettamente consapevole dell’apposizione della condizione apposta dall’altro, pertanto l’assenza di buona fede produceva il rigetto della domanda di indennizzo.

    Avverso tale decisione il coniuge ha promosso ricorso per Cassazione ascrivendo al giudice d’appello vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul suo stato psichico. Lamentando, inoltre, omesso doveroso, autonomo e rigoroso riscontro della circostanza assunta dal giudice ecclesiastico a causa di nullità del matrimonio. In buona sostanza, secondo il ricorrente, la Corte di merito, appiattita su di un’acritica condivisione della decisione del giudice ecclesiastico, avrebbe valorizzato elementi assunti in quella sede, in particolare le deposizioni testimoniali, insufficienti e non puntuali sia in ordine al foro interno sia in ordine alla conoscibilità della condizione, senza accertare effettivamente l’atteggiamento psicologico al momento della celebrazione del matrimonio.

    La Cassazione con la decisione 10 giugno 2011, n. 12738 ha ritenuto fondata la censura, confermando ampiamente un principio già affermato in precedenti pronunce (Cass. 6308/2000, Cass. 198/2001, Cass. 3339/2003, Cass. n. 20281/2005). Il rispetto di un principio di ordine pubblico di speciale valenza e la tutela degli interessi della persona riguardanti la costituzione di un rapporto matrimoniale – oggetto di tutela e di rilievo costituzionale – avrebbe imposto, nel caso in commento, alla Corte di appello di verificare se il coniuge, che ha apposto la condizione al matrimonio, avesse reso partecipe l’altro coniuge del suo contenuto effettivo, intendendo cioè in concreto subordinare il vincolo matrimoniale ed il suo mantenimento ad una condizione, esprimendo questa sua precisa volontà al coniuge o, quanto meno, consentendo la percezione di tale riserva con fatti concludenti, dai quali fosse univocamente desumibile con ordinaria diligenza.

    Questa verifica, del tutto autonoma e rigorosa, resa necessaria dal fatto che si trattava di profilo estraneo al processo canonico, è risultata omessa dai giudici di appello ovvero non è risultata adeguatamente esplicitata nel contesto della motivazione, da cui emerge una sostanziale uniformità tra il giudizio espresso dal giudice ecclesiastico e quello dell’organo interno, fondandosi su di una acritica condivisione dell’apprezzamento degli elementi esaminati in quella sede.

    Al giudice del rinvio decidere la questione.



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