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  • Se il dipendente pubblico effettua telefonate brevi non vi è peculato



    Fonte: Altalex      
    Se il dipendente pubblico utilizza un cellulare aziendale o una connessione internet mentre è in ufficio, per scopi privati, non può essere penalmente perseguibile per il delitto di peculato, sempre che i costi siano contenuti. Lo ha stabilito la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza 25 novembre 2010, n. 41709.
    Non integra il reato di peculato, di cui all’art. 314 c.p., infatti, la condotta del pubblico ufficiale il quale utilizzi beni appartenenti alla pubblica amministrazione che siano privi, in sé, di rilevanza economica e, quindi, inidonei a costituire l’oggetto materiale dell’appropriazione ([i]).
    In altre parole, la cosa mobile altrui, di cui l’agente si appropria, deve avere valore apprezzabile, posto che le cose prive di valore non rivestono alcun interesse per il diritto. Ovviamente, come confermato da una recente giurisprudenza di legittimità, integra peculato la condotta che abbia ad oggetto cose che, pur essendo prive di un valore intrinseco, possono acquistare o riacquistare rilevanza economica per l’utilizzazione che ne faccia l’agente ([ii]).

    Per quanto attiene, più specificatamente, l’utilizzo del mezzo del telefono da parte del pubblico ufficiale, si rileva come “L'uso privato dell'apparecchio telefonico, di cui l'impiegato ha disponibilità per ragioni d'ufficio, comporta l'appropriazione (non restituibile) delle energie necessarie alla comunicazione e per questo l'uso smodato e non episodico del telefono aziendale per fini privati rientra nella fattispecie punita dall'art. 314 c.p.” ([iii]).
    Già in altre pronunce si è evidenziato come fosse erronea la decisione di escludere la sussistenza del reato di peculato nella condotta del pubblico dipendente che abbia utilizzato il computer in uso in ufficio per navigare in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione affermando apoditticamente che non vi sarebbe stato danno patrimoniale per l'amministrazione sul rilievo che il computer sarebbe stato comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso e dalla navigazione. Infatti, oltre a doversi considerare che la fattispecie del peculato tutela non solo il patrimonio della pubblica amministrazione, ma anche il corretto funzionamento degli uffici basato su un rapporto di fiducia e di lealtà con il personale dipendente, si sarebbe dovuto comunque accertare in concreto se il tipo di convenzione con il provider prevedesse un accesso costante al web a un costo fisso anziché un accesso di volta in volta consentito solo previo contatto telefonico, giacché in tale secondo caso l'utilizzatore abusivo si sarebbe appropriato, oltre all'energia elettrica consumata con l'accensione dell'apparecchio, anche delle energie appartenenti all'ente sotto forma di telefonate di volta in volta eseguite per la navigazione in internet per le finalità estranee alla pubblica funzione ([iv]).
    Nella fattispecie, la vicenda presentava un danno di circa 75 euro, tra l’altro, “spalmato” su un periodo di due anni; di conseguenza, applicando correttamente i principi sopra richiamati, appare evidente la mancanza del danno patrimoniale rilevante per la Pubblica Amministrazione.
    (Altalex, 10 gennaio 2011. Nota di Simone Marani)
    ______________
    [i] Cass., pen., Sez. VI, 30 maggio 2001, n. 21867, in Cass. pen., 2002, 605.
    [ii] Cass., pen., Sez. VI, sentenza 24 luglio 2007, n. 30154, in CED, rv. 237328.
    [iii] Cass., pen., Sez. VI, sentenza 20 maggio 2009, n. 21165, A., in D&G, 2009. In tal caso integra il reato di peculato, e non già quello di peculato d'uso, l'indebito utilizzo del telefono d'ufficio da parte del pubblico funzionario, atteso che tale condotta si risolve non già nel mero utilizzo dell'apparecchio telefonico in quanto oggetto, bensì nell'appropriazione delle energie costituite da impulsi elettronici entrate a far parte del patrimonio dell'amministrazione (Cass., pen., Sez. VI, 6 febbraio 2009, n. 26595, T., in CED 2009.
    [iv] Cass., pen., Sez. VI, sentenza 21 maggio 2008, n. 20326, D. A., in Guida dir., 2008, f. 26, 99.

    SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
    SEZIONE VI PENALE
    Sentenza 19 ottobre - 25 novembre 2010, n. 41709
    Svolgimento del processo - Motivi della decisione
    Con la sentenza in epigrafe il G.u.p. del Tribunale di Verbania ha disposto non luogo a procedere nei confronti di E.M. in ordine ai reati di peculato (capo a), contestatogli in alternativa al reato di abuso di ufficio (capo b), per avere, quale dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di Stresa, e pertanto pubblico ufficiale, utilizzato il telefono cellulare assegnatogli per ragioni di ufficio per contatti con privati (276 messaggi SMS e 625 conversazioni) per un totale di ore 25,52,03 di impegno della utenza e un costo di Euro 75,49. Uguale statuizione ha emesso nei confronti dell' E. in relazione al reato ex art. 323 sub c) contestatogli per avere utilizzato il computer dell'ufficio collegato con la rete Internet per ragioni del tutto personali.
    Considerava il G.u.p. che, in ragione di una reiterazione di condotte che comportavano modesti costi, doveva concludersi per "l'assenza di atti appropriativi di valore economico sufficiente per la configurabilità del delitto di peculato". Rilevava quindi che neppure era configurabile il reato di abuso di ufficio in considerazione della mancanza dell'elemento costitutivo del reato consistente nell'ingiusto vantaggio patrimoniale "rappresentato da un effettivo e concreto incremento economico del patrimonio del beneficiato quale conseguenza della condotta abusiva". Doveva poi escludersi la sussistenza del reato di abuso di ufficio in relazione all'utilizzo del computer dell'ufficio per usi personali perchè il Comune di Stresa aveva con Telecom s.p.a. un abbonamento a costo fisso per la navigazione in Internet, mancando quindi, anche per tale comportamento, un ingiusto vantaggio patrimoniale al pubblico ufficiale, nemmeno ipotizzabile sotto il profilo di risparmio di spesa.
    Avverso la sentenza propongono ricorso per Cassazione il Procuratore generale e il Procuratore della Repubblica. Entrambi lamentano inosservanza o erronea applicazione di legge. Il Procuratore della Repubblica censura la sentenza anche per mancanza e contraddittorietà della motivazione. Quest'ultimo, in particolare, insiste per la configurabilità del reato di peculato sub a).
    Sottolinea la non uniformità della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione in ordine a vicende analoghe e soprattutto la differenza di situazioni di fatto prese in considerazione da detta giurisprudenza. Ragione per la quale si profilerebbe come opportuna la decisione del giudice del dibattimento, sussistendo comunque elementi idonei per sostenere la pubblica accusa. Entrambi i ricorrenti deducono, sotto il profilo del reato di abuso di ufficio, come appaia evidente l'ingiusto vantaggio patrimoniale che l'indagato si è procurato.
    L'indagato ha depositato memoria in data 15 ottobre 2010 con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
    I ricorsi sono inammissibili.
    Per quanto attiene alla contestazione dei reati sub a) e b), se è vero che in punto di reato di peculato in caso di utilizzo da parte del pubblico ufficiale dei telefoni di cui ha la disponibilità per ragioni di ufficio per comunicazioni di carattere privato la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ha giudicato in modo differente, è anche vero che le diversità sono dovute essenzialmente alla diversa misura di tale utilizzazioni, laddove tutte le sentenze pronunciate sono concordi nel ritenere che danni al patrimonio della pubblica amministrazione di scarsa entità finiscono per essere irrilevanti per rivelarsi le condotte inoffensive del bene giuridico tutelato. Nel caso, il G.u.p. ha giudicato su una vicenda in cui il danno arrecato era di circa Euro 75 in un arco temporale di poco più di due anni per contatti di breve durata con un numero ristretto di persone. Tale valutazione non appare irragionevole al Collegio decidente, avuti riguardo al raffrontato con i casi che si sono presentati all'esame della Corte di Cassazione. I ricorsi appaiono quindi inammissibili per contenere censure non consentite nel giudizio di Cassazione in quanto attinenti ad apprezzamenti e valutazioni dei dati di fatto riservati al giudice di merito, sottratti alla cognizione del giudice di legittimità siccome sorretti, nella specie, da una motivazione congrua e immune da censure di ordine logico, con la quale il G.u.p. ha spiegato adeguatamente le ragioni per le quali non ha ritenuto di sottoporre al vaglio del giudice del dibattimento una vicenda caratterizzata dalla raccolta di elementi insufficienti o contraddittori per sostenere l'accusa. Ragioni che hanno altresì condotto il giudicante a ritenere la insussistenza di un effettivo e concreto incremento economico del beneficiario idoneo a configurare il requisito dell'ingiusto vantaggio patrimoniale con riferimento al reato di abuso di ufficio.
    E' anche corretta la decisione assunta in ordine al capo e), essendo emerso che il Comune di Stresa aveva contratto con Telecom un abbonamento a costo fisso per l'accesso in internet con la conseguenza che nessun danno è stato cagionato alla pubblica amministrazione. Neanche in ordine a tale fattispecie è ravvisabile un concreto incremento patrimoniale da parte dell' E. e quindi un vantaggio ingiusto. Neppure può ravvisarsi il reato di abuso di ufficio sotto il profilo del consumo di energie derivanti dall'utilizzo del computer, mancando anche in tal caso, per quest'ultima causale, un apprezzabile nocumento nei confronti della stessa amministrazione.
    P.Q.M.
    Dichiara inammissibili i ricorsi.

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