rassegna di notizie dal web utili alla difesa del cittadino

| 0 HOME 00|00 CHI SIAMO 00|00 ANGELO PISANI 00|00 CONTATTI 00| 000000000000000000000000000000000000
  • Sanzioni amministrative: sulla forma dell’atto introduttivo del giudizio di appello

    Fonte: Altalex                   
    L’art. 26 del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 abrogando l’ultimo comma dell’art. 23, Legge n. 689/1981, ha introdotto il gravame dell’appello anche con riferimento alle sentenze pronunciate dal Giudice di Pace a seguito di opposizione a sanzione amministrativa, precedentemente, come risaputo, riservate alla cognizione esclusiva della Corte di legittimità.
    E’ noto il dibattito apertosi in dottrina, determinato dalla scarna formulazione dell’art. 26 del Decreto[1], circa la problematica inerente la forma dell’atto introduttivo – ricorso o citazione - del “nuovo” giudizio di appello.
    Tale dibattito ha visto contrapporsi a coloro che propugnano la c.d. “ultrattività” del rito[2] seguito nel giudizio di primo grado, una seconda opinione[3] che, invece, ravvisa la necessità di introdurre il gravame con citazione[4].
    L’importanza del riportato contrasto, tutt’altro che teorico, è ben evidente se si considera come dall’accoglimento dell’una o dell’altra tesi derivino conseguenze diverse ed opposte circa la possibilità di valida conversione - ex art. 159 comma terzo c.p.c. - dell’atto erroneo.

    La disposizione di legge da ultimo citata, infatti, ammette la conversione dell’atto erroneamente proposto, sempre che esso rispetti i requisiti contenutistici e temporali del modello legale richiesto.
    In breve, laddove si ritenga che l’atto introduttivo del gravame debba rivestire la forma del ricorso, l’atto erroneamente proposto in forma di citazione potrà essere convertito allorché quest’ultima sia stata depositata nei termini; viceversa, ove si propenda per l’introduzione del giudizio con citazione, la conversione potrà avvenire unicamente allorquando il ricorso sia stato notificato all’appellato nel termine di cui all’art. 325 c.p.c. (Cass. n. 5100/93). Nel caso in cui, invece, l’appello sia stato proposto non solo con la forma erronea ma anche, e comunque, oltre il limite decadenziale, il giudice non potrà che dichiarare inammissibile l’appello, inutile essendo il mutamento del rito (Cass. n. 115/1997).
    Ciò premesso, va precisato che, pur in assenza di una pronuncia espressa sul punto da parte della Suprema Corte, a seguito dell’ordinanza n. 14520 del 19 giugno 2009, la Cassazione pare aver abbracciato la tesi della introduzione del gravame con atto di citazione[5], con ciò determinando un vero e proprio revirement nella giurisprudenza di merito (è il caso, ad esempio, del Tribunale di Catanzaro, ord. 6 luglio 2009[6]).
    Con la sentenza 14 maggio 2010, n. 195 il Tribunale di Busto Arsizio, sez. dist. di Gallarate, in accordo con la sopraccitata ordinanza, muta la propria precedente giurisprudenza sul punto, ritenendo che “in assenza di una specifica disciplina in sede di gravame va seguito il rito ordinario”.
    A tale conclusione il giudicante giunge in considerazione del“l’assenza di fondamento normativo del c.d. principio di ultrattività del rito”, a fronte, invece, “della sicura valenza di altri principi che militano per la tesi seguita(cfr. nota 3), nonché in virtù della profilata applicabilità, da parte della Corte di Cassazione[7], delle norme di cui al capo I del titolo III del codice di rito.
    Conseguentemente il Tribunale, appurata l’impossibilità di procedere ai sensi dell’art. 159 comma terzo c.p.c. alla conversione dell’atto erroneamente proposto, essendo stato il ricorso notificato oltre il termine c.d. “lungo” di cui all’art 327 c.p.c., conclude per l’inammissibilità dell’appello.
    (Altalex, 15 ottobre 2010. Nota di Roberto Cacchillo)
    ________________

    [1] Il quale si limita a prevedere che “al quinto comma [dell’art. 23, Legge n. 689/81] , le parole: «ricorribile per cassazione» sono sostituite dalla seguente: «appellabile»”.
    [2] F. P. LUISO, L’appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, in Giur. merito 2007, 1906-1909; Il rito dell’appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e la conversione del ricorso in citazione, Riv. dir. proc. 2007, 945-948
    [3] MIRENDA, Sanzioni amministrative: la questione del rito d’appello avverso la sentenza del giudice di pace, in Giur. merito 2008, 974 ss; TAMMARO, Il giudizio di appello e le controversie in unico grado, Torino 2008;
    [4] In sintesi, tra i motivi addotti a sostegno della tesi:
    a. l’inequivocabilità del dato normativo, che sancisce il primato del rito ordinario per il giudizio di appello (cfr. articoli 359 e 40, terzo comma, c.p.c.), salvo diversa volontà del legislatore;
    b. la natura di “rito generale ordinario” della disciplina dettata dagli articoli 339 e ss. c.p.c. e, quindi, la sua idoneità a regolare tutti i gravami di merito, in mancanza di una normativa specifica (Cass. 13564/2003);
    c. la riconducibilità della disciplina di cui all’art. 23, Legge n. 689/81 al mero giudizio di opposizione, stante la lettera della rubrica (“giudizio di opposizione”), nonché la struttura del procedimento, imperniato attorno alla impugnazione del provvedimento sanzionatorio;
    d. l’incompatibilità con il giudizio di appello dei commi I e II dell’art. 23,Legge n. 689/81;
    e. il silenzio del legislatore che, laddove ha inteso designare una disciplina speciale per il giudizio di secondo grado, ne ha fatto espressa menzione (cfr. art. 433 e ss. c.p.c.; art. 447 bis c.p.c.; art. 20 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003);
    f. l’imposizione di oneri eccessivi a carico dello Stato, laddove si optasse per l’introduzione del giudizio con ricorso (con notifiche a cura della cancelleria, come previsto dalla Legge n. 689/81).
    [5] Sulla portata di tale pronuncia, il più illustre sostenitore della tesi dell’ultrattività del rito, in recenti scritti, così si esprime: “Chi scrive ha avuto occasione di esporre in altra sede le ragioni che militano a favore della prima soluzione: la S.C., invece, adotta nel provvedimento pubblicato l’altra soluzione” (F. P. Luiso, Ancora sul processo di appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, su judicium.it).
    [6] Testo integrale: “Il Presidente - Rileva che l’odierna controversia è stata introdotta con ricorso ex art. 23, legge 689/1981 in considerazione della giurisprudenza di questo Tribunale che afferma l’ultrattività del rito di cui all’art. 23 cit.
    Ciò nondimeno, con ordinanza n. 14520 del 19 giugno 2009, la Corte di Cassazione, sez. II civile, ha profilato l’applicabilità delle norme previste dal capo I del titolo III del codice di procedura civile e, dunque, disatteso la tesi sin qui seguita, pur autorevolmente sposata in dottrina.
    Alla luce delle considerazioni che precedono, pare opportuno convertire il rito, per consentire alla controversia di seguire il rito processuale ordinario di appello, tenuto conto, in particolare, che il ricorso è stato notificato allorché non si era consumato il termine di decadenza per l’impugnazione
    P.Q.M.
    DISPONE la conversione del rito, per doversi seguire le norme previste per il rito ordinario di appello,
    RINVIA l’udienza in data 28 settembre 2009, per consentire la regolarizzazione fiscale degli atti, riservandosi sulle riserve istruttorie
    Il presidente”.
    [7] Cass. ordinanza 19 giugno 2009, n. 14520.

    Sezione distaccata di Gallarate
    Sentenza 14 maggio 2010, n. 195
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Giudice del Tribunale Ordinario di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, dott. Valeria Conforti in funzione di giudice d’appello, all’udienza del 14 maggio 2010 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione, la seguente:
    SENTENZA
    ****
    RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
    ****
    Tanto premesso, l’eccezione preliminare sollevata dall’appellata è fondata e pertanto l’appello va dichiarato inammissibile in quanto proposto dopo la decorrenza dei termini perentori di legge per impugnare.
    In primo luogo giova osservare che l’odierna controversia d’appello è stata introdotta con ricorso ex art. 23, legge 689/1981, sulla scorta dell’orientamento seguito da taluni Tribunali e supportato anche da un’autorevole dottrina, secondo cui l’introduzione del doppio grado del giudizio in materia di sanzioni amministrative, non seguita da puntuali disposizioni in ordine alle regole procedurali da applicare in secondo grado ed in primo luogo in merito a quale sia la forma dell’atto introduttivo, dovrebbe indurre a ritenere persistente il regime giuridico speciale disegnato nell’art. 23, legge 689/198l anche in appello e ciò, in virtù del principio di ultrattività del rito seguito in primo grado (cfr. Trib. Viterbo sent. 24 gennaio 2008).
    Secondo l’indirizzo in parola all’applicazione del rito speciale anche in sede di gravame non sarebbe di ostacolo il disposto dell’art. 359 c.p.c. in base al quale "nei procedimenti d’appello davanti alla Corte o al Tribunale si osservano in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale" giacché il rinvio operato da tale norma non sarebbe agli artt. 163 ss., bensì ad ogni norma dettata per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale.
    Tra queste vi sono anche quelle di cui agli artt. 22 e 23 della legge 689/81, applicabili in primo grado davanti al Tribunale per le materie previste dai commi secondo e terzo dell’art. 22 bis legge 689/81, per cui a1 procedimento d’appello avanti alla Corte ed al Tribunale, nella materie di rispettiva competenza, deve applicarsi il rito speciale.
    A tale orientamento, se ne contrappone un altro maggiormente diffuso nella giurisprudenza di merito e pienamente condiviso da questo giudice alla stregua del quale, in assenza di una specifica disciplina in sede di gravame va seguito il rito ordinario, vale a dire l’ordinaria disciplina prevista dal c.p.c., segnatamente gli artt. 341 segg. c.p.c., tra cui l’art. 342 in base al quale il giudizio di appello deve essere introdotto con atto di citazione e non già con ricorso (cfr Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 06-11-2008; in maniera conforme Trib. Benevento Sent. 11-02-2009; Trib. Torino Sez. III, Sent. 3l-10-2008; Trib. Torino, Sez. III, Sent. 18-06-2007; Trib. Verona Sent. 29-03-2007).
    Le ragioni per le quali il decidente ritiene condivisibile questa soluzione è in via principale l’assenza di fondamento normativo del c.d. principio di ultrattività del rito, anche se speciale, seguito in primo grado, e cioè di un principio di omogeneità dei riti nei diversi gradi di giudizio a fronte, invece, della sicura valenza di altri principi che militano per la tesi seguita.
    Segnatamente, la natura di "rito generale ordinario" della disciplina dettata dagli artt. 339 c.p.c. quale rito idoneo a regolare tutti i gravami di merito laddove, difetti, come nel caso in oggetto, una diversa volontà del legislatore. (cfr. Cass. 13564/2003); ed, ancora, il principio della prevalenza del rito ordinario sui riti speciali alla luce del combinato disposto degli arti. 359 e 40 comma terzo c.p.c., tenuto altresì conto della settorialità e peculiarità del rito di cui all’art. 23 legge 689/81.
    Tutti questi elementi inducono ad optare in definitiva per una diversa lettura del rinvio operato dall’art. 359 c.p.c. che si ritiene, pertanto, limitato alla sola disciplina codicistica di cui agli artt. 163 s.s.
    Va rilevato che di recente la Corte di Cassazione sembra avere avallato l’orientamento in parola; con ordinanza n. 14520 del giugno 2009 la Suprema Corte ha profilato l’applicabilità delle norme previste dal capo I del titolo III del codice di procedura civile e non già delle disposizioni del rito speciale di cui alla legge 689/1981 attesa la complessità del giudizio di gravame per cui esso deve svolgersi dinanzi al Tribunale secondo le regole ordinarie che rendono necessaria la difesa tecnica e che si armonizzano con la disciplina dettata in materia di appello dal capo II del titolo III del codice di procedura civile.
    Appare chiaro che diretta conseguenza di questa opzione ermeneutica è quella di ritenere che nella fattispecie, il gravame sia stato erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione.
    Ciò nondimeno potrebbe operare il generale principio di conservazione dell’atto nullo - che non consente di comminare alcuna sanzione allorquando l’atto abbia raggiunto il suo scopo di cui all’art. 156 3° comma c.p.c. ed il connesso principio di conversione dell’atto proposto per errore ex art. 159 c. III, c.p.c, con salvezza degli effetti prodotti dall’atto, in questo caso dall’impugnazione.
    E’ principio consolidato, infatti, quello per cui la proposizione dell’atto di appello con ricorso piuttosto che con citazione non vale ad incidere sull’ammissibilità dell’impugnazione.
    Ciò a condizione però che il gravame comunque introdotto sia tempestivo, e detta tempestività in ipotesi del genere (gravame da introdurre con atto di citazione in base alla regola dell’art. 352 c.p.c. ed erroneamente introdotto con ricorso) va valutata in base alla data della notificazione dell’atto alla controparte unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza. Ed infatti ai fini della costituzione di un valido rapporto processuale secondo il modello della citazione ex art. 342 c.p.c. non è idoneo il deposito del ricorso, pur se tempestivo, occorrendo che l’atto venga portato a conoscenza della parte entro i termini perentori di cui agli artt. 325, 326, 327, c.p.c, nella forma legale della notificazione (cfr Cass. Civ. 23412/08; 844/06 4498/09).
    Ora, risulta per tabulas che l’odierno appellante a fronte della sentenza del Giudice di Pace depositata in data 21.02.2008 e non notificata è stato depositato in data 6.04.2008 ma noificato solo in data in 8 maggie 2009 e dunque oltre il termine c.d. "lungo" previsto dall’art. 327 c,p.c. per proporre l’appello, allorquando la sentenza era già passata in giudicato.
    Segue, pertanto, la necessaria declaratoria d’inammissibilità dell’appello.
    Non può infatti ritenersi operante il diverso principio per cui ai fini dell’ammissibilità dell’appello, a prescindere dal tipo di atto utilizzato per introdurre l’impugnazione, bisognerebbe avere riguardo al rispetto dei termini in base al modello impugnatorio concretamente prescelto e dunque nel caso in oggetto alla data di deposito.
    Trattasi di soluzione operata in chiave sostanziale dalla giurisprudenza nel diverso caso dell’impugnativa di delibera condominiale (Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14560) che, tuttavia, nell’ipotesi in esame dove viene in rilievo un giudizio di gravame avverso un provvedimento che tende a divenire definitivo se non impugnato, porterebbe a vulnerare e rendere incerto il momento del passaggio in giudicato della sentenza, anche nell’ottica della parte vittoriosa la quale, pur non avendo ricevuto la notifica dell’atto d’impugnazione non potrebbe essere certa della definitività del provvedimento.
    Alla luce delle considerazioni esposte l’appello deve essere dichiarato inammissibile.
    ****
    P.Q.M
    definitivamente pronunciando sull’appello proposto, ogni avversa istanza disattesa e respinta così statuisce:
    1) dichiara inammissibile l’appello
    2) spese compensate
    Gallarate il 14 maggio 2010
    IL GIUDICE
    (dott. Valeria Conforti)

0 commenti:

Leave a Reply


Apri un comitato "Liberi da Equitalia"

Cerca nel blog

NOTIZIE DA FORO DI NAPOLI

_________________________________