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  • Nome Andrea, figlia femmina, attribuzione, condizione

    Fonte: Altalex           
    Nell’ordinamento vigente, alla luce delle tradizioni sino ad ora seguite ed in mancanza di elementi di segno contrario da allegare a cura della parte interessata, il nome ANDREA alle bambine può essere attribuito solo anteponendo un onomastico femminile.
    (Fonte: Massimario.it - 01/2011)

    Tribunale di Varese
    Decreto 23 luglio 2010
    Il Tribunale di Varese, Ufficio della Volontaria Giurisdizione, decreto 23 luglio 2010 (Pres. Paganini, est. Buffone)
    In Fatto
    M e T hanno attribuito alla propria figlia, al momento della nascita (… 2009), il nome “Andrea Sara”. L’Ufficiale dello Stato civile ha rilevato il contrasto del prenome con l’art. 35 d.P.R. 396/2000 e con la circolare del Ministero dell’Interno dell’1 giugno 2007 n. 27 cosicché, pur registrando l’atto di nascita con l’onomastico femminile assegnato, ha avvertito i genitori della possibilità di una rettifica in sede giudiziale in quanto, secondo la circolare de qua, il nome Andrea poteva essere attribuito ad una donna solo come secondo nome e, quindi, se preceduto da un onomastico femminile.
    L’Ufficiale dello Stato civile ha, quindi, presentato apposito rapporto alla Procura della Repubblica in data 12 novembre 2009. Il Procuratore della Repubblica, ricevuto il rapporto, ha presentato ricorso per la rettifica del nome in data 16 dicembre 2009. Su ricordo del P.M. il Tribunale ha convocato i genitori che, però, non si sono presentati. All’udienza è, invece, comparso l’Ufficiale dello Stato civile del Comune di riferimento che, riportandosi al proprio rapporto, si è unito alle istanze del Pubblico Ministero.
    In Diritto
    La possibilità di attribuire ad una bimba il nome di “Andrea” costituisce ancora oggi l’oggetto di un vitale dibattito dottrinale e giurisprudenziale non ancora sopito. Certo è che i genitori non hanno un diritto potestativo alla attribuzione al minore del nome che desiderano: il diritto al nome, infatti, è un diritto soggettivo incomprimibile della persona che lo porta, la quale, tuttavia, al momento della nascita non è in grado di sceglierlo ed, allora, sono i suoi rappresentanti legali ad indicarlo ma nell’esercizio di un potere-dovere proprio di un munus quale la potestà genitoriale (v. art. 7, comma I, Conv. diritti del fanciullo, New York 1996). In tal senso si pronuncia in modo autorevole la Dottrina là dove precisa che la scelta del nome afferisce “ad un munus e deve essere esercitata nell’interesse del figlio che, grazie al nome attribuitogli, acquisterà un simbolo dell’identità personale, anzi il simbolo per eccellenza dell’identità personale nei rapporti sociali”.
    Si giustifica, allora, l’intervento dello Stato, in sede di rettificazione, ove la scelta dei genitori non corrisponda all’interesse del minore ed, anzi, sia idonea ad arrecargli pregiudizio.
    E’, dunque, astrattamente previsto (e condividibile) che un organo terzo giurisdizionale possa almeno in minima parte sostituirsi alla scelta dei genitori dove questa sia idonea ad arrecare pregiudizio alla persona del minore (si pensi ai nomi ridicoli). In tal senso, ed in primo luogo, ai sensi dell’art. 35 d.P.R. 396/2000, “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso”. L’art. 34, comma I, del medesimo decreto, vieta l’assegnazione di “nomi ridicoli o vergognosi”. Dal combinato disposto delle suaccennate disposizioni, emerge chiaramente il divieto di attribuire ad un bambino di sesso maschile un nome da donna o ad una bambina di sesso femminile un nome da uomo. Ciò si tradurrebbe, infatti, nella violazione di entrambe le norme, posto che, in tali casi, l’identità della persona verrebbe esposta alla derisione altrui.
    Verrebbe, comunque, in via diretta frustrato l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici e della identificazione delle persone, interesse che il Legislatore ha deciso di far prevalere sulla libera scelta del nome da parte dei genitori. Si tratta di un balancing costituzionale del tutto ragionevole che, soprattutto, non comprime il diritto del genitore ma lo condiziona. Tant’è, infatti, che è ben possibile adottare un nome di valenza equivoca (quanto al sesso) ove, però, sia preceduto da un nome, primario, che risponda al sesso del minore (tipico è il caso del nome Maria usato anche per gli uomini ma solo con anteposizione di un elemento onomastico maschile: es. Giovanni Maria, Francesco Maria, etc..).
    Il punctum pruriens concerne, tuttavia, l’onomastico “Andrea”.
    Il nome Andrea deriva dal greco «ἀνήρ» che indica l'uomo con riferimento alla sua mascolinità; ed, infatti, lo si considera anche un derivato di «ἀνδρεία», termine che rievoca la virilità. In Italia, Andrea è, infatti, un nome proprio di persona maschile (così come in Albania).
    In altre lingue, tuttavia, il nome è usato prevalentemente o esclusivamente al femminile: Ceco, Slovacco, Sloveno: maschile Andrej, femminile Andrea; Inglese: maschile Andrew (o Andreas), femminile Andrea; Spagnolo: maschile Andrés, femminile Andrea; Tedesco, Olandese, Danese: maschile Andreas, femminile: Andrea; Ungherese: maschile András, femminile Andrea. Andrea è nome femminile anche in America. Quanto alla Francia: maschile André, femminile Andrée.
    La circolare del Min. dell’interno dell’1 giugno 2007 avverte che il nome Andrea, in Italia, ha valenza maschile essendo “Andreina” la versione femminile. Il testo della circolare, dunque, continua affermando che “anche nel caso in cui i genitori richiedano la registrazione del figlio/a con un nome che, nella tradizione italiana, non corrisponde al sesso del minore, l’ufficiale dello stato civile (…) dovrà procedere alla registrazione ma dovrà avvertire i genitori che, a seguito della segnalazione del caso al Procuratore della Repubblica, come previsto dalla legge, è possibile che si instauri un giudizio di rettificazione che potrebbe portare, anche con tempi lunghi, alla modifica del nome prescelto”. La circolare ribadisce come nulla osti a che un nome tradizionalmente maschile, es. Andrea, possa essere imposto ad una bambina purché dopo un elemento onomastico chiaramente femminile (es. Francesca Andrea).
    Le limitazioni non si applicano nel caso in cui il bambino acquisti la nazionalità del Paese di provenienza. In tal caso, infatti, in attuazione della normativa in materia di diritto internazionale privato (v. Legge n. 218/1995) si applicherà la Legge del Paese di nascita, posto che esplicitamente l’art. 24 l. cit. dispone che i diritti della personalità, tra i quali rientra il diritto al nome, sono regolati dalla legge nazionale del soggetto.
    Orbene, secondo, dunque, le indicazioni ministeriali, nel caso di specie, il nome andrebbe rettificato da Andrea SARA in SARA Andrea, essendo la minore cittadina italiana e non essendo l’onomastico assegnato come primo (Andrea) a valenza e connotazione femminile in Italia.
    Le direttive della circolare ministeriale[1] sono state in tempi recenti ritenute conformi al dettato normativo e, quindi, condivisibili da Tribunale di Catanzaro, Ufficio della Volontaria Giurisdizione, decreto 14 aprile 2009 (Pres. A. N. Filardo – est. G. Gioia)[2].
    Il ragionamento logico-giuridico che percorre l’organo giudicante muove da un dato di partenza che sembra condivisibile: per verificare se il nome attribuito al minore corrisponda al suo sesso (e, dunque, per verificare la valenza maschile o femminile del nome stesso) occorre guardare alla tradizione italiana, non intesa quale consuetudine statica e cristallizzata nel tempo ma quale insieme di valori e costumi in continua evoluzione. Ebbene, secondo il Tribunale calabrese, nella tradizione italiana (ricavabile dai dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente), il nome Andrea ha valenza maschile, essendo, infatti, il terzo nome maschile più diffuso in Italia. In mancanza di una tradizione italiana in cui Andrea abbia valenza femminile, il nome “Andrea”, attribuito ad una cittadina italiana, va rettificato mediante anteposizione di un elemento onomastico femminile.
    Quanto all’uso del nome Andrea in Italia, il Collegio di Catanzaro fa riferimento alla relazione dell’Istat, depositata l’1 luglio 2008, recante dati statistici in ordine a “natalità e fecondità della popolazione residente – Anno 2006”: rileva che “Andrea” è il terzo nome in Italia, per diffusione sul territorio trai nati residenti. In tutto 8.805 bambini nel 2006 pari al 3,1% dei nati residenti ed al 9.9% dei nati residenti cumulati. In questi casi, il nome è usato al maschile. Rileva, anche, che Andrea non risulta nella lista dei nomi a maggiore diffusione per i minori di sesso femminile.
    Il Tribunale esclude anche che per legittimare il nome “Andrea” si possa guardare all’art. 34, comma II, d.P.R. cit., che consente l’attribuzione di “Nomi Stranieri”: ed, infatti, la valenza del nome viene valutata con riferimento alla tradizione italiana e nel suo rispetto. Ciò vuol dire che ad un minore italiano non può essere attribuito un nome straniero che, in Italia, non ne identifichi la sessualità in modo corretto. Id Est: la previsione dell’art. 34 comma II riguarda i nomi stranieri che non compaiono nel dizionario italiano. In quel caso il nome non è mai straniero ma, per l’appunto, italiano.
    In conclusione, il Collegio di Catanzaro si pronuncia con la rettifica del nome nei sensi indicati dalla Circolare.
    Il decreto non è stato seguito da altri giudici ed è stato pure censurato in Dottrina.
    In giurisprudenza, ad esempio, il Tribunale di Torino (decreto 15 aprile 2008) ha ritenuto che il fatto che “Andrea” sia usato anche al femminile ormai legittimi la sua libera circolazione in ambo le versioni.
    In Dottrina, alcuni commentatori (con analisi particolarmente approfondita e, dunque, da tenere in considerazione), hanno osservato che «se per avventura il nome straniero è già usato in Italia con riferimento al sesso opposto, allora si apriranno due vie alternative: o si dovrà accettare la sua valenza unica straniera, in tal caso potendosi solo parlare di identità di suono e/o di grafia, ovvero si continuerà a considerare italiano l’onomastico, ma senza escludersi che esso possa acquisire l’attitudine a riferirsi indifferentemente ad entrambi i sessi».
    Hanno aggiunto che «così opinando non si rischia di mettere a repentaglio la certezza dei rapporti giuridici perché, nel dubbio se il nome sia riferito a uomo o donna, soccorrerà un altro dato che compare negli atti dello stato civile, ovvero la specificazione del sesso femminile o maschile. In conclusione: se molti genitori chiedono la registrazione delle loro figlie con il nome Andrea e se perfino qualche cantautrice ha scelto Andrea come pseudonimo, non può negarsi che, se anche di uso tradizionale ditale nome al femminile non possa ancora parlarsi, nella prassi sociale l’ambivalenza del nome Andrea si è già affermata».
    Quanto alla giurisprudenza di contrario avviso rispetto al Trib. di Catanzaro, deve osservarsi che essa è minoritaria. In specifico, per quanto concerne la decisione prima citata (Trib. Torino, 15.4.2008) essa non è resistita al gravame: la Corte di Appello di Torino, con decreto 26 giugno – 23 luglio 2008, l’ha riformata osservando che quello che conta è l'effetto che il nome ha sulla persona, soprattutto quando nella lingua italiana esso ha un significato diverso rispetto alla lingua straniera. Secondo la Corte torinese, Andrea in Italia è “un nome notoriamente maschile, tanto che al femminile viene usato Andreina”. Non è poi condivisibile, secondo la Corte, quanto sostenuto dal Tribunale, cioè che l'uso di Andrea al femminile sia “circostanza notoria”, dato che “... non si ravvisano (né sono allegate) le fonti di tale convincimento, onde scrutinarle l'autorevolezza a fini di tipo statistico”.
    Quanto ai rilievi degli Autori, le osservazioni critiche svolte in sede dottrinale non appaiono del tutto condivisibili.
    In primo luogo, va ribadito che la connotazione straniera o non di un nome non si misura a livello fonetico ma letterale: cosicché se una data forma letterale è presente nel dizionario dei nomi italiani, l’onomastico non è straniero e non può essere considerato tale (così, dunque, per Andrea). Una diversa interpretazione rischia di dare adito ad una “Torre di Babele” poiché viene messa in discussione la stessa oggettività rappresentativa del linguaggio di uno Stato: nei rapporti sociali e nell’espletamento delle funzioni dell’ufficiale di Stato civile vi sarebbe sempre il dubbio che un nome italiano sia stato adottato nella sua valenza “straniera” e, dunque, possa recare con sé un significato diverso da quello comune.
    Altrimenti detto: atteso che Andrea (m)/Andreina (f) è inscritto nell’alveo dei nomi italiani, non cessa di essere tale e non può essere considerato straniero sol perché è pure adottato nel linguaggio comune di altri Stati.
    Quanto alla certezza dei rapporti giuridici, l’argomento è pregevole ma non tiene in considerazione che i “rapporti” cui l’Ordinamento guarda non sono solo quelli verticali (PA – Cittadino) ma soprattutto quelli orizzontali (rapporti tra privati): in tutta la contrattualistica, nei negozi, negli scambi ed in tutti i rapporti in cui si spende il solo dato anagrafico, l’affidamento rischia di vacillare là dove si spenda il solo nome “Andrea” che, pur nel formarsi di una tradizione evolutiva, allo stato mantiene connotazione maschile.
    Ed è questo il punto di approdo.
    E’ senz’altro vero che una tradizione interna allo Stato va formandosi nel senso di dare ingresso a nuovi nomi, tra cui quello di Andrea al femminile: ma è anche vero che Andrea resta il terzo nome al maschile in Italia.
    Ed, allora, nella ricerca di una soluzione compromissoria, che tuteli e consenta l’evoluzione della tradizione ma al contempo salvaguardi le esigenze pubbliche, appare giusta e allo stato ottimale quella proposta dalla circolare ministeriale: consentire l’attribuzione del nome Andrea ma anteponendo, se il minore è femmina, un onomastico femminile.
    In questo modo l’attribuzione del nome non viene frenata (e la tradizione può andare a consolidarsi) ma al contempo si salvaguarda l’esigenza primaria presa di mira dalla normativa vigente.
    Vi è, poi, un rilievo di tipo processuale da svolgere. I poteri officiosi del giudice della Volontaria Giurisdizione non si spingono fino al punto da dover ricercare elementi di prova al fine di sostenere l’una o l’altra tesi, cosicché è onere dell’interessato, partecipando al giudizio, di allegare o introdurre nel rito camerale elementi che possono mutare il convincimento del giudice (es. indagini statistiche diverse da quelle Ufficiali e nazionali qui usate). Si condivide, dunque, quanto sostenuto dalla Corte di Appello di Torino nella decisione richiamata. Non è condivisibile, secondola Corte, quanto sostenuto dal Tribunale di prime cure, e cioè che l'uso di Andrea al femminile sia “circostanza notoria”, dato che “... non si ravvisano (né sono allegate) le fonti di tale convincimento, onde scrutinarle l'autorevolezza a fini di tipo statistico”.
    Come già osservato, i genitori della minore non hanno inteso partecipare al procedimento pur evocati in giudizio e, dunque, il fascicolo resta carente di elementi probatori diversi di quelli sin qui usati che consentano, anche in minima parte, di svolgere osservazioni differenti o lungo direttrici ermeneutiche diverse.
    Un’ultima annotazione merita di essere svolta guardando all’eventuale contrasto dell’odierna decisione con i Principi vigenti in materia a livello internazionale o comunitario.
    Il contrasto non è sussistente.
    Quanto al primo aspetto, si ricorda che la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza del 6 settembre 2007, caso Johansson c. Finlandia, ha ricollegato il diritto al nome all’art. 8 CEDU (che riguarda il diritto al rispetto della vita privata e familiare) precisando che la protezione di un bambino dall’attribuzione di un nome che possa nuocergli alla personalità, perché per esempio ridicolo o strano, corrisponde all’interesse generale. I giudici europei hanno anche ribadito che le autorità nazionali dispongono di una larga discrezionalità nell’applicazione caso per caso della legge sui nomi.
    Nel caso di specie, veniva condannata la Finlandia per aver negato l’uso di un nome finlandese (“Axl”) in quanto giudicato “non ridicolo” e, soprattutto, non idoneo a pregiudicare il minore. Ma, allora, è il rischio di pregiudizio che consente una limitazione dell’attribuzione dei nomi e sicuramente non vi è strappo all’art. 8 cit. dove, comunque, il nome sia consentito ma con anteposizione di un onomastico diverso per i fini pubblici generali.
    E’ chiaro, allora, come la circolare ministeriale non si ponga in contrasto, nella regola di diritto che introduce, con l’art. 8 citato[3].
    Quanto al Diritto Comunitario, non vi è alcuna discriminazione dei genitori italiani (in quanto cittadini europei): è sufficiente richiamare le argomentazioni già svolte per far rilevare che in ogni Stato preso in considerazione, vi è sempre una espressa distinzione tra sostantivo maschile e sostantivo femminile e dove Andrea è usato al femminile non può essere usato al maschile. Se altri Stati non consentono l’uso di Andrea al maschile, non si spiega perchè l’Italia non dovrebbe vietarlo al femminile.
    Peraltro, deve ricordarsi la limitata competenza comunitaria nella materia dei Diritti della personalità.
    Alla luce delle considerazioni svolte, salvaguardando la possibilità di una evoluzione della tradizione italiana in materia di nomi e, al contempo, tutelando l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici, il nome della minore va rettificando anteponendo il secondo nome (Sara) al primo (Andrea).
    P.Q.M.
    visti gli artt. 34, 35, 95, 100 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396
    Dispone la rettificazione dell’atto di nascita di cui ai registri degli atti di nascita del Comune di …., Parte …. relativo a XX Andrea Sara, di sesso femminile, nata a …. il …. 2009. Si rettifichi l’atto come segue: invece di Andrea Sara il nome è: SARA Andrea; l’onomastico femminile “Sara” va anteposto al secondo nome Andrea.
    Ordina all’ufficiale dello Stato civile del Comune di …. di provvedere alla rettificazione disposta
    Manda alla cancelleria perché si trasmetta, ai sensi dell’art. 101 d.P.R. 396/00, per l'esecuzione, all'ufficiale dello stato civile competente, copia dell’odierno decreto.
    Si comunichi all’Ufficio di Procura ed ai genitori della minore presso il domicilio risultante dagli atti del Comune.
    La cancelleria provveda agli adempimenti di Legge.
    Così deciso a Varese, nella Camera di Consiglio del 23 luglio 2010
    Il Giudice relatore
    Dott. Giuseppe Buffone

    Il Presidente
    Pres. Franceso Paganini

    _______________
    [1] Circ. Min. dell’interno, Dipartimento AA. II. TT. - Direzione Centrale per i Servizi demografici, Area III, Stato Civile n. 27 dell’1 giugno 2007).
    [2] In Il Civilista, 2009, VI; in www.personaedanno.it
    [3] L’assenza di contrasto esonera questo Collegio dal dovere verificare l’attuale vitalità o non dei Principi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze 348 e 349 del 2007 quanto alla natura giuridica delle norme CEDU. Come noto, infatti, il 13.12.2007 ha visto la luce il Trattato di Lisbona che ha apportato modifiche al Trattato sull’Unione Europea ed è entrato in vigore il 1 dicembre 2009 ed è stato ratificato dall’Italia con la legge 2 agosto 2008 n. 130 recante “Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007”.L’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea (post Lisbona) recita: “L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali”. Secondo alcuni Autori e, soprattutto, secondo una già formata giurisprudenza (v. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220 e TAR Lazio, Sez. II bis, 18 maggio 2010 n. 11984) la norma avrebbe determinato la cd. comunitarizzazione delle norme CEDU: “non più, pertanto, norme internazionali e parametro interposto di legittimità costituzionale di norme domestiche ex art. 117 Cost., bensì norme comunitarie le quali in virtù del principio di primautè del diritto comunitario” legittimerebbero “alla non applicazione di norme interne con esse contrastanti”. Se, invece, fossero ancora considerate norme “interposte”, il giudice a quo sarebbe tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale dinnanzi alla Consulta per violazione dell’art. 117, comma I, Cost.

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