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Legittimo licenziare due volte
Il datore di lavoro, che ha già intimato il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, può comunicare al lavoratore un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo. Tuttavia, il secondo recesso produrrà effetti solo nel caso in cui il giudice accerti l'illegittimità del primo licenziamento comunicato dal datore. È il principio contenuto nella sentenza 1244/2011 pronunciata dalla Cassazione, a conclusione di un complesso iter giudiziario instauratosi tra un lavoratore e un istituto bancario, tra l'altro su validità ed efficacia del secondo recesso in caso di inefficacia o nullità del primo.Vediamo il principio della Suprema corte che, in materia, non sempre si è espressa in modo conforme alla sentenza 1244. Secondo un primo orientamento, infatti, il licenziamento intimato nell'area della cosiddetta "stabilità reale" (articolo 18 dello statuto), in assenza di giusta causa o di giustificato motivo, comporta di per sé la cessazione del rapporto di lavoro. Ciò fino a quando non intervenga un atto di annullamento idoneo a far cessare gli effetti del recesso. Seguendo questo ordine, un secondo provvedimento espulsivo (comunicato al lavoratore prima dell'annullamento giudiziale del primo) sarebbe privo di efficacia proprio perché intervenuto su un rapporto ormai cessato e, quindi, inesistente (Cassazione 10394 del 18 maggio 2005 e 5092 del 4 aprile 2001). Tale orientamento è stato disatteso dalla Cassazione con la decisione 1244. Infatti, la prima interpretazione tiene conto soltanto dell'aspetto letterale dell'articolo 18 della legge 300/1970 («il giudice, con la sentenza con cui ... annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo»), ma non del significato complessivo della norma. In altre parole, è necessario analizzare lo "spirito" dell'articolo 18 e non limitarsi a un'interpretazione letterale. A seguito dell'annullamento del licenziamento da parte del tribunale del lavoro, infatti, scattano a favore del lavoratore una serie di conseguenze favorevoli: reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di una somma di denaro a carico del datore di lavoro pari alla retribuzione che sarebbe maturata tra il licenziamento e la reintegra, versamento dei contributi previdenziali per il periodo intercorrente tra il recesso e la reintegra. Effetti di legge che presuppongono la continuazione del rapporto di lavoro seppure solamente da un punto di vista giuridico. In altri termini, secondo la Suprema corte, il recesso datoriale illegittimo non è idoneo a estinguere in via definitiva il rapporto di lavoro nel momento in cui è stato comunicato. Il licenziamento inefficace, in pratica, determina unicamente la sospensione della prestazione lavorativa sino a quando, a seguito del provvedimento di reintegra del giudice, non venga ripristinata la situazione antecedente al licenziamento. Tale principio è stato più volte affermato dalla Corte con riferimento al nuovo provvedimento datoriale di recesso basato sugli stessi motivi che hanno determinato il datore di lavoro a irrogare il primo licenziamento. A maggior ragione, prosegue la Cassazione, tale massima deve trovare applicazione nell'ipotesi in cui venga trasmesso al lavoratore un secondo licenziamento che si fondi su motivi diversi da quello da quello oggetto del primo. In definitiva, la tesi della continuità e della permanenza del rapporto di lavoro, pur in pendenza di un recesso illegittimo manifestato dal datore di lavoro, legittima, l'irrogazione di un secondo licenziamento, ove basato su una diversa e nuova ragione giustificatrice, che potrà portare all'estinzione definitiva del rapporto di lavoro.
Il testo della sentenza
Fonte: IlSole24Ore

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