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  • Ballabio: «Spazzo le cellule tossiche ma con i sacchetti di Napoli rischio la resa»

    Un rimedio contro la «monnezza» delle cellule lui l’ha trovato. Il disastro-rifiuti sembrava solo un brutto ricordo quando, più o meno un anno fa, Andrea Ballabio, direttore dell'Istituto Telethon di Genetica e Medicina, dalle pagine della prestigiosa rivista scientifica «Science» indicava al mondo la strada maestra per smaltire i rifiuti cellulari. Un sistema in grado di ripulire il corpo umano da molecole tossiche, responsabili di gravi malattie.





    La sua impresa è sembrata un tantino più difficile di quella che, invece, qui non è riuscita. Ma non è che ha un rimedio anche per Napoli?



    «Purtroppo, no. Anzi, mi sento molto avvilito. La situazione di Napoli ha dell’incredibile. Definirla grave è un eufemismo: è un incubo, un danno enorme, non solo per l’immagine della città, ma per tutte le attività economiche. Le ripercussioni sono più profonde di quelle, pure pesanti, che investono la salute e riguardano oltre l’immagine anche il turismo. È un fallimento che pagheremo molto caro e per tanti anni. Noi, al Tigem, già ne paghiamo le spese».



    In che senso?



    «Abbiamo sempre cercato di attirare qui ricercatori sia dall’estero che da altre parti d'Italia. Cosa che ora risulta molto più complicata».



    Come è la situazione rifiuti nella sua zona?



    «Io abito a Posillipo e credo di non aver mai visto una situazione spaventosa come quella di questi giorni. Ogni mattina, sotto casa ad accogliermi ci sono decine di metri di immondizia. Uno spettacolo mortificante».



    Lei la fa la differenziata?



    «Si, anche se, a dire il vero, per motivi di tempo spesso è mia moglie che se ne occupa. Il problema è che non tutti la fanno».



    Secondo lei per quale motivo? 



    «C’è una sfiducia generalizzata. Molti sono convinti che i rifiuti differenziati spesso non vengono poi effettivamente tenuti separati. La gente è stanca, e qualcuno per liberare i marciapiedi getta anche i rifiuti per strada».



    Ritiene che le campane per la raccolta siano sufficienti?



    «Non saprei dire, forse ne servirebbero di più. Ma la differenziata è solo un aspetto della questione».



    Ci spieghi meglio?



    «Tutti dovremmo prendere coscienza che questa è la priorità assoluta. Poi, serve un piano per risolvere la crisi definitivamente. Mi sembra incredibile che dopo tanti anni non sia mai stato fatto».

    Una road map per uscire dall’emergenza?



    «Esatto. Un piano consultabile da chiunque, che indichi traguardi verificabili. Invece, si litiga ancora su chi deve fare il secondo termovalorizzatore».



    È un problema di classe dirigente o di senso civico degli abitanti?



    «Sicuramente sono molte le colpe di un sistema malato, in cui nessun politico ha detto ”Basta, non ci sto più!”. D’altro canto, c’è lo scarso senso civico della gente. Una cosa è certa: il tema dei rifiuti è stato sottovalutato da tutti».



    Anche da un popolo che non accenna a ribellarsi?



    «Si, ma questo aspetto purtroppo fa storicamente parte dell’indole del ”tirammo a campà”, che da queste parti è una filosofia di vita».



    Quando si affaccia dalla finestra di casa sua, che città vede?



    «Una città che non riesce a tirarsi fuori da un problema che, in qualsiasi altra parte del mondo civilizzato, si risolve tranquillamente. Il fatto che qui non se ne riesca ad uscire, è la prova, per la comunità internazionale, che a Napoli non si può fare niente di serio».



    Far crescere i suoi figli a Napoli la preoccupa?



    «Molto. Ne ho tre, e i due più grandi vivono già all’estero. Quanto al più piccolo, che ha 9 anni, spero che vada via quanto prima. Magari, quando sarà più grande, potrà tornare a casa e trovare, finalmente, una città normale».

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