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Iscrizione e partecipazione a partiti politici: illecito disciplinare dei magistrati?
Corte Costituzionale , sentenza 17.07.2009 n° 224
«Si deve ritenere non fondata la questione di legittimità Costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, in quanto la ratio sottesa alla norma de qua è quella della tutela rafforzata dell’immagine di indipendenza del magistrato, la quale può essere posta in pericolo tanto dall’essere il magistrato politicamente impegnato e vincolato ad una struttura partitica, quanto dai condizionamenti, anche sotto l’immagine, derivanti dal coinvolgimento nell’attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario».
Questo è quanto statuito dalla Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), il quale configura quale illecito disciplinare sia il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato, sia l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa dello stesso a partiti politici.
La Corte Costituzionale è stato investita della questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione, con ordinanza promossa dal Consiglio Superiore della Magistratura, con riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione.
È opportuno evidenziare che nel corso del giudizio, il Consiglio Superiore della Magistratura ha esposto la tesi secondo cui il divieto formale ed assoluto di iscrizione ai partiti politici per il magistrato, rafforzato da una sanzione per la sua violazione, andrebbe oltre la nozione giuridica della mera limitazione, ovvero di una regolamentazione che contemperi il diritto politico del singolo con l'esigenza di imparzialità, anche percepita, del giudice; e irragionevolmente assimilerebbe nel medesimo giudizio di disvalore l'appartenenza a partiti politici ed a centri di affari o di potere affaristico.
Con la sentenza in commento la Consulta, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale, per come sollevata, ha preliminarmente specificato che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo, tuttavia le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale.
Nell’affrontare la suesposta vexata quaestio, il Giudice delle Leggi ha richiamato quanto già affermato in precedenti sue pronunce (ex pluribus:sent. n. 100 del 1981), rilevando che è la stessa Costituzione che riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta nel titolo IV della parte II, in virtù della natura della loro funzione. Tale disciplina ha il compito di assicurare una posizione peculiare ai magistrati e correlativamente, comporta l'imposizione di speciali doveri.In particolar modo, la Corte richiama gli artt. artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., ribadendo che i magistrati devono essere imparziali e indipendenti e che tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità. Sicchè si opera una sorta di bilanciamento tra i diversi valori coinvolti ovvero tra la libertà di associarsi in partiti, ex art. 49 Cost., e l'esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati, nonchè l'immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo, ex l'art. 98, terzo comma, Cost.
A ciò si aggiunge la circostanza che è demandato al legislatore ordinario, con riferimento al caso di specie, la facoltà di stabilire «limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati». Dunque, è la Costituzione stessa che consente al legislatore ordinario di introdurre a tutela e salvaguardia dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, al fine di rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge, nonché per evitare che l'esercizio delle loro delicate funzioni sia offuscato dall'essere legati ad una struttura partitica nella quale vi sono vincoli gerarchici interni.
Posta tale premessa, nel proprio iter logico-argomentativo la Corte ha, inoltre, individuato la natura, la portata e gli obiettivi perseguiti dalla norma censurata.
Infatti, la disciplina dettata ex art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo succitato ha dato attuazione ad una mera previsione costituzionale stabilendo che costituisce illecito disciplinare non solo l'iscrizione, ma anche «la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici».
Inoltre accanto al dato formale dell'iscrizione, è parimenti precluso al magistrato, l'organico schieramento con una delle parti politiche in gioco, essendo anch'esso in grado di condizionare l'esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni e di comprometterne l'immagine.
I Giudici delle Leggi hanno altresì negato, che si potesse postulare contraddizione con il diritto di elettorato passivo spettante ai magistrati. Risulta lampante e lapalissiano la diversità delle situazioni poste a raffronto, l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito politico e l’accesso alle cariche elettive.
Infine, si è evidenziato che la peculiarietà dell'assolutezza del divieto, riguarda tutti i magistrati, senza alcuna sorta di eccezioni. Pertanto vale sia nei confronti di coloro che non esercitano attualmente funzioni giudiziarie sia per coloro che sono stati temporaneamente collocati fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico.
Ciò posto, alla stregua delle sopra esposte argomentazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, ex art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, nella parte in cui configura come illecito disciplinare, sotto la medesima lettera h), accanto alla iscrizione o alla partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato. Infatti, non si tratta di una indebita assimilazione, in un medesimo giudizio di disvalore, di due ipotesi di ben diversa portata. Il legislatore, piuttosto, è stato spinto dall'esigenza di porre una tutela rafforzata dell'immagine di indipendenza del magistrato, la quale può essere posta in pericolo tanto dall'essere il magistrato politicamente impegnato e vincolato ad una struttura partitica, quanto dai condizionamenti, anche sotto il profilo dell'immagine, derivanti dal coinvolgimento nella attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario.
Fonte: Altalex
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